La Sardegna scommette sulla storia delle sue miniere e punta alla valorizzazione dell'archeologia industriale che dopo la chiusura del settore estrattivo avrebbe la duplice funzione di conservare l'immenso patrimonio immobiliare e culturale e renderlo fruibile ai tanti visitatori che mostrano di gradire una vacanza all'insegna delle storia e della cultura. Le difficolta' sono tante, quest'anno in particolare con 500 mila presenze in meno rispetto allo scorso anno, ma c'e' chi, per passione e per orgoglio, crede nell'archeologia industriale, ed e' pronto a farlo.
Le tradizioni minerarie delle Sardegna hanno origini lontane. I giacimenti piombiferi sardi, in particolare quelli di Montevecchio e Monteponi, nei comuni di Guspini, Arbus e Iglesias, nel sud ovest del'isola, non erano sfuggiti all'attenzione dei popoli che colonizzarono la Sardegna. Ne sono testimonianza i numerosi ritrovamenti effettuati in quelle vecchie miniere dell'Arburese e dell'Iglesiente.
La lunga storia mineraria della Sardegna ha inizio intorno al sesto millennio a.C. con l'attivita' di estrazione dell'ossidiana dal Monte Arci nella parte centro-occidentale dell'isola. Attorno al terzo millennio a.C. si diffusero in Sardegna le conoscenze metallurgiche, che raggiunsero in epoca nuragica un elevato livello tecnico, testimoniato dal ritrovamento dei numerosi bronzetti, raffiguranti guerrieri, animali e navicelle. Contemporaneamente alla tecnica metallurgica, si sviluppo' anche la tecnica mineraria, ch permise l'estrazione sempre maggiori quantita' di minerali che attrassero tra il X e l'VIII secolo a.C. fenici e cartaginesi che sfruttarono intensamente i giacimenti sardi, soprattutto dell'Iglesiente e del'Arburese, dove sono state rinvenuti antichi scavi e scorie di fusione attribuibili a questo periodo.
E' a Montevecchio, che durante le coltivazioni industriali furono ritrovati vecchi scavi romani, all'interno dei quali si rinvennero paioli in rame, canali e tubi in piombo e vari attrezzi da scavo, ora custoditi al Museo Archeologico di Cagliari. Ma e' il Breve di Villa di Chiesa, il documento di epoca pisana scampato all'incendio di Iglesias del 1354 quando, nel corso del conflitto tra Mariano Giudice d'Arborea e Pietro d'Aragona, la citta' fu data alle fiamme per non farla cadere in mano nemica, che attesta che i pisani in periodo medievale, avevano dato grande impulso all'attivita' estrattiva sfruttando la ricchezza di piombo e argento del sottosuolo.
Nei secoli quindi gli affioramenti di galena e calamina, i minerali di piombo, furono da sempre oggetto di attenzione e di sfruttamento, ma e' solo nei primi decenni del 1800 che la corona sabauda prende effettiva coscienza del grande patrimonio e delle ricchezze del sottosuolo della Sardegna.
Dopo la concessione a diversi imprenditori di 'permessi di ricerca' per lo sfruttamento dei giacimenti dell'Arburese e dell'Iglesiente il Regno Sardo-piemontese decise di sfruttare le potenzialita' minerarie dell'isola e il 28 aprile 1848, dal campo di Peschiera, era appena scoppiata la Prima guerra d'indipendenza, il re Carlo Alberto di Savoia, firma "l'atto di concessione perpetua per lo sfruttamento della miniera di Montevecchio, I, II e III" a Giovanni Antonio Sanna, giovane imprenditore sassarese. Si trattava delle prime tre Concessioni del Regno di Sardegna, ancor oggi attive.
Questa data segna l'inizio ufficiale dello sfruttamento industriale e razionale dei giacimenti metalliferi della Sardegna. Seguirono poi le concessioni minerarie di Ingurtosu e Gennamari, sempre nell'Arbusere, affidate alla societa' parigina "Societe' Generale de mines de Ingurtosu et Gennamari', poi quelle di Monteponi, Buggeru, Fluminimaggiore, Arenas, San Giovanni, Seddas Moddizzis e tante altre. La seconda meta' dell"800 rappresenta dunque la svolta nello sfruttamento industriale dei filoni piombo-argentiferi della Sardegna.Ancora non si utilizzava lo zinco, ma nel '900 le concessioni minerarie furono estese anche all'estrazione dei minerali di quel metallo, le blende. Montevecchio fu dunque la prima miniera del Regno ad essere data in concessione, e per di piu' ad un sardo, il sassarese Giovanni Antonio Sanna, la cui vita, ricca di fascino e di mistero, coronata da successi economici vertiginosi, lo porto' a diventare uno dei piu' grandi imprenditori italiani del secolo. Liberale e massone, vantava amicizie con Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini, Camillo Benso, Giovanni Giolitti, Quintino Sella e tanti altri nomi illustri del risorgimento italiano. Imprenditore illuminato fece di Montevecchio, nel 1865, con 1100 operai, la miniera piu' importante non solo dell'isola ma del Regno intero.
Grande mecenate e collezionista di opere d'arte e di reperti archeologici, che dono', alla sua morte alla sua citta' Sassari, che istitui' il museo archeologico che porta il suo nome. Numerosi quadri di Tiziano, Tintoretto e Caravaggio, che furono nella sperduta miniera di Montevecchio, furono poi divisi tra gli eredi. Era facile arricchirsi con i minerali sardi nell"800. Arrivarono in Sardegna imprenditori e societa' di sfruttamento 'italiane', inglesi e francesi.
I grandi profitti arrivavano veloci grazie alla copiosa generosita' della natura e soprattutto dall'ingente forza lavoro della Sardegna, che viveva una poverta' immensa. In ogni valle, in ogni monte, in ogni roccia, nella seconda meta' del XIX secolo proliferano scavi e impianti di nuove miniere, tanto trasformare il vergine e vellutato paesaggio del sud ovest della Sardegna, ricoperto di rigogliosa macchia mediterranea e di sugherete, in un enorme cantiere di scavo.
E accanto agli scavi incominciavano a sorgere i villaggi minerari: le palazzine liberty delle direzioni delle miniere sono costruite in sommita' agli scavi, in posizione dominante, sia per controllare i lavori, ma soprattutto per manifestare l'imponenza e la grandezza della societa' proprietaria della miniera. Tutt'intorno, in rigoroso ordine gerarchico, le case dei tecnici, degli impiegati e, 'a bocca di pozzo', quelle dei minatori.
Lo stridente contrasto tra la ricchezza e la poverta' dei minatori e' evidenziata anche nella posizione delle loro case. Il paesaggio si trasforma, sia per l'ampliarsi sempre piu' veloce degli scavi minerari e degli impianti di lavorazione, sia per la costruzione delle abitazioni ad uso civile. Nascono i villaggi di Montevecchio, lungo i sei chilometri del filone, quelli di Ingurtosu, Buggerru, San Giovanni e Monteponi, che comunque, per la sua vicinanza alla citta' di Iglesias, non si sviluppa come gli altri.
Le 'sciolte' dei minatori, cosi' venivano chiamate le squadre di lavoro che si avvicendavano nei tre turni di lavoro in miniera, raggiungevano le gallerie a piedi, da Iglesias. Vengono costruite ferrovie per il trasporto del minerale, porti e magazzini di stoccaggio del minerale, laverie industriali, centrali elettriche, dighe, laboratori chimici, officine elettromeccaniche. Le miniere, lontane dai grossi centri come Cagliari, dovevano essere autosufficienti.
Sorgono cosi' le bellissime palazzine delle direzioni di Montevecchio, che costituisce un raro esempio di architettura liberty e che ospitava sia gli uffici tecnici della miniera che l'abitazione del proprietario, quella di Ingurtosu detto il 'castello', costruito sull'esempio di quello della scuola mineraria tedesca di Freiberg.
A Ingurtosu ancor il proprietario della Socie'te' anonyme de mines plomb-argentife're de Gennamari et de Ingurtosu, l'inglese sir Thomas Alnutt Brassy, uno degli industriali minerari di maggior spicco europeo, costrui' villa Ginestra, una perla architettonica incastonata tra le rocce selvagge dell'arburese. Ma erano cosi' tutte le ville di rappresentanza delle miniere: il palazzo Bellavista a Monteponi, la direzione di san Giovanni, la palazzina dell'Associazione mineraria sarda ad Iglesias, esempi di opulenza e ricchezza delle societa' di coltivazione della miniere sarde.
E in miniera c'era ovunque un ospedale. Un ospedale ben attrezzato, spesso con gabinetto radiologico e sala operatoria, per far fronte alle piu' impellenti esigenze derivate dagli infortuni. Che spesso erano mortali. Nei villaggi minerari c'era tutto: dallo spaccio aziendale al teatro, ai circoli sportivi e ricreativi. Piu' tardi anche il cinema.
A Buggerru, comparvero anche le prime vetrine nei negozi. La societa' proprietaria era francese, e la miniera fu chiamata la 'piccola Parigi'. L'occupazione nelle miniere sarde arriva ad oltre centomila unita' nei primi decenni del 1900. Ed e' con l'incremento dell'attivita' industriale che nascono i primi movimenti sindacali: a Montevecchio il primo sciopero generale del 1903, quando gli operai occupano il pozzo Sant'Antonio per protestate contro il sistema iniquo delle retribuzioni. Ben presto il seme dello sciopero si diffuse in tutte le miniere, e l'ideologia socialista incomincio' a guadagnarsi la fiducia dei minatori.
Il culmine avvenne nel 1904. Era il sabato 3 settembre e i minatori protestavano per le condizioni disumane di lavoro. Si rifiutarono di lavorare e rivendicando condizioni e retribuzioni umane. La societa' francese (che gestiva le miniere), chiese aiuto alla prefettura di Cagliari, che invio' l'esercito: arrivo a sera e il giorno dopo, il 4 settembre, alla ripresa dello sciopero fece fuoco sugli operai uccidendone tre e ferendone altri. Quella domenica 4 settembre 1904 sara' ricordata come la data dell'eccidio di Buggerru, di fatto il primo sciopero generale in Italia. L'inizio dell'attivita' mineraria industriale, nella seconda meta' dell' '800 e fino allo scoppio della prima guerra mondiale, trasforma radicalmente la societa' sarda, facendo entrare nella cultura e nel costume dei sardi l'arte mineraria, che ancor oggi, dopo due secoli di attivita' e nonostante le miniere siano state chiuse, resiste ancora. Ma il massimo splendore arriva con l'avvento della tecnologia nel secondo dopoguerra.
Le miniere di Monteponi e Montevecchio, che avevano acquisito tutte le altre concessioni minerarie della Sardegna si fondono sotto un'unica bandiera, quella della grande 'Montecatini' che formo' la controllata 'Monteponi&Montevecchio, Societa' Italiana del Piombo e dello Zinco'. Fu un'epoca straordinaria per le miniere sarde: aumentarono le produzioni, il piombo e lo zinco portarono profitti enormi, gli operai presero sempre piu' coscienza delle loro condizioni e il pensiero comunista e i sindacati conquistarono le masse lavoratrici, che si erano organizzate e rivendicavano condizioni di lavoro migliori.
I minatori, gli operai, i tecnici, gli impiegati sentivano la miniera 'cosa' propria, e se da un lato erano protagonisti delle lotte di classe, dall'altro amavano la miniera come la propria casa. A Montevecchio, una squadra di operai dell'officina elettromeccanica, guidata da Letterio Freni, invento' e brevetto' l'Autopala e il Treno sgombero veloce 'MOntevecchio', mezzi che ancor oggi proseguono la loro attivita' nelle miniere di mezzo mondo.
Centocinquant'anni di storia cessano col crollo dei prezzi dei metalli e della borsa di Londra. E miniere sarde entrano in crisi a cavallo del 1970 e '80. I filoni metalliferi sono stati sfruttati e la generosita' della natura non e' piu' quella di prima. E' necessario scavare sempre piu' in profondita' per andare a prendere il piombo e lo zinco. I costi di gestione aumentano, cosi' come quelli del lavoro.
Estrarre minerale non e' piu' conveniente. Alle gestioni private subentra la Regione, poi l'Eni, poi ancora societa' miste- Stato-Regione, ma nel 1991 l'epilogo della chiusura. Il dramma della fine di un'epoca attraversa tutta la Sardegna. Dalle due miniere piu' grandi Montevecchio e Monteponi, alle piu' piccole: Buggeru, Fluminimaggiore, Argentiera della Nurra, Lula, San Giovanni, Seddas Moddizzis.
La parola fine e' stampata su ognuna di esse. Si mobilitano le forze politiche e i sindacati per trovare alternative e il parlamento vota un provvedimento d'urgenza, la 221/91, nota come legge mineraria. Aveva lo scopo di far nascere nuove iniziative per assorbire la forza lavoro lasciata a casa dalla chiusura delle miniere: fu un fallimento. Truffatori e avventurieri presentarono progetti di nuove fabbriche e iniziative industriali. Ma erano i finanziamento che interessavano a faccendieri senza scrupoli che truffarono lo Stato prendendo i soldi e scappando con la scusa del 'fallimento'.
Ma la memoria del patrimonio storico e culturale lasciato in 150 anni di storia estrattiva nell'arburese e nell'iglesiente non poteva cadere nell'oblio. Volenterosi appassionati, semplici cittadini, minatori e dirigenti di miniera proposero all'Unesco l'istituzione del 'Parco Geominerario storico e ambientale della Sardegna'.
Nel 1997 fu presentato un dossier informativo all'assemblea generale dell'Unesco, nel quale si esponevano le notevoli valenze culturali, ambientali e storiche che le miniere avevano rivestito nella storia della Sardegna. L'Unesco riconobbe ufficialmente l'elevato valore della cultura mineraria dell'isola con la sottoscrizione, avvenuta il 30 settembre 1998, della Carta di Cagliari[, nella quale erano racchiusi i principi e gli obbiettivi che l'istituzione del Parco Geominerario avrebbe dovuto perseguire.
Questi obbiettivi comprendevano la bonifica, il recupero e la salvaguardia delle strutture industriali legate all'attivita' mineraria, nonche' la salvaguardia dei beni naturalistici e dei valori culturali legati alle attivita' estrattive. Il Parco stenta a decollare, ma oggi, alcune parti delle vecchie miniere sono fruibili ai turisti.
A Montevecchio, Carbonia e Monteponi, sono visitabili le gallerie e i pozzi, a Masua, nello splendido scenario sul mare, il magazzino di stoccaggio e carico del minerale di Poto Flavia, scavato nella roccia e che, tramite un braccio telescopico, permetteva alle navi di attraccare accanto alle falesie e caricare il minerale da portare nelle fonderie del continente.
Una storia incredibilmente lunga, densa di momenti di gloria e di dolore per le migliaia di uomini e donne che hanno lavorato nelle miniere sarde, che oggi, grazie alla fertile bibliografia mineraria, resiste al tempo nel ricordo dell'epopea mineraria dell'isola di Sardegna.
Percorrere le strade sterrate dei cantieri minerari, visitare gli impianti un tempo chiassosi e oggi desolatamente silenziosi e' passione di tanti escursionisti e appassionati di archeologia industriale, ma le risposte che i territori si attendevano non sono quelle sperate. I biglietti staccati non ripagano le spese di gestione, le guide turistiche, le manutenzioni. Con il turismo minerario si lavora solo due mesi all'anno, luglio e agosto. Che non bastano a creare lavoro stabile e occupazione.