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Draghi: 'Si può tornare alla crescita'

'Ma il sistema perde competitività' draghi_296

di Francesco Chyurlia

“Dall'avvio della ripresa, nell'estate di due anni fa, l'economia italiana ha recuperato soltanto 2 dei 7 punti percentuali di prodotto persi nella crisi” ma, quello che valeva cinque anni fa nel 2006,vale ancora ora: si può “tornare alla crescita”. Draghi, nelle sue considerazioni finali all’Assemblea di Bankitalia, forse l’ultima come governatore dell'Istituto in vista della presidenza della Bce, preferisce vedere un bicchiere mezzo pieno ad uno mezzo vuoto. E nonostante “il sistema perda di competitività” vi sono capacità, energie, per imprimere una nuova accelerazione alla crescita. “Le nostre indagini documentano segni di vitalità di molte imprese”, dice Draghi . In Italia il disavanzo pubblico, vicino al 4% del Pil, è “inferiore a quello medio dell’area euro” e “nelle previsioni ufficiali scenderà al di sotto del 3% nel 2012. Il debito è tuttavia vicino al 12% del prodotto interno lordo”.

Per il numero uno della Banca d’Italia, la situazione non è rosea, ma apprezza due recenti scelte del governo per far risalire la china al nostro Paese: “L'obiettivo di pareggio di bilancio nel 2014, l’intenzione di anticipare a giugno la definizione della manovra correttiva per il 2013-14”. La spesa, però, “dovrà ancora contrarsi” di oltre il 5% nel triennio 2012-14. Ma “non è consigliabile” farlo su tutte le voci, per non far mancare utili risorse. Il risanamento dei conti pubblici, e la relativa ripresa, passano attraverso due operazioni: riduzione della spesa e calo “significativo delle aliquote fiscali”, che sono “elevate sui redditi dei lavoratori e delle imprese”. Per il governatore di Bankitalia la ricetta per lo sviluppo è articolata e rigorosa. Sul fronte fiscale riducendo le aliquote bisognerebbe “compensare il minor gettito con ulteriori recuperi di evasione fiscale.

E “il federalismo fiscale può aiutare, responsabilizzando tutti i livelli di governo, imponendo rigidi vincoli di bilancio, avvicinando i cittadini” alle pubbliche amministrazioni. L’importante è che non si sommino con le tasse locali con tasse statali. L'ottimismo di Draghi, sulle capacità di recupero del nostro Paese, non lo induce a sottovalutare la critica situazione dei conti pubblici e della crescita. “Nel corso dei 10 anni passati il Prodotto interno lordo è aumentato in Italia meno del 3%; del 12 in Francia, paese europeo a noi simile per popolazione. Il divario riflette integralmente quello della produttività oraria”. Una produttività ferma da noi, ma “salita del 9% in Francia. Il deludente risultato italiano è uniforme sul territorio, da Nord a Sud: se la produttività ristagna -dice il governatore di Bankitalia- la nostra economia non può crescere”.

Tra i punti dolenti analizzati dal governatore di Bankitalia nelle 19 pagine delle sue “considerazioni finali” c'è il mercato del lavoro e la precarietà. Per Draghi “riequilibrare la flessibilità, oggi quasi tutta concentrata nelle modalità d’ingresso, migliorerebbe le aspirazioni di vita dei giovani”. I contratti a tempo determinato hanno innalzato il tasso di disoccupazione, ma hanno anche “creato una vasta sacca di precariato, soprattutto giovanile”. Capitolo a parte è quello riguardante le donne che, nonostante siano più preparate degli uomini, trovano più difficilmente lavoro e guadagnano di meno. “In Italia l’occupazione femminile è ferma al 46%”.

Altri punti nevralgici della nostra società sono la giustizia civile e l’istruzione. Secondo il governatore della Banca d’Italia “va affrontato alla radice il problema dell’efficienza della giustizia civile” perché il tempo medio dei processi ordinari di primo grado supera i mille giorni e pone l’Italia al 157mo posto su 183 nella graduatoria della Banca mondiale”.

E per Draghi “l’incertezza che ne deriva” può costare fino a un punto percentuale di Pil. Un altro punto può essere perso “dal distacco del sistema educativo italiano rispetto alle migliori pratiche mondiali: bisogna innalzare i livelli di apprendimento”.

Un primo plauso alla relazione di Draghi viene dai ministri del Lavoro, Maurizio Sacconi e della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta. Per Sacconi il governatore ha “ragione a ritenere che si debbano alzare i livelli di apprendimento,che ovviamente non coincidono con una qualsiasi laurea, e che si deve superare il dualismo che caratterizza il nostro mercato del lavoro. E ciò si realizza –dice il ministro- attraverso la riforma dello Statuto dei lavoratori nello Statuto dei lavori”. Brunetta ritiene giusto l’esortazione al governo affinché “proceda con rigore e determinazione riformista, eliminando la cattiva spesa pubblica e alleggerendo la pressione fiscale”. Anche i leader delle tre confederazioni vedono, nei richiami del governatore, un impulso a guardare i veri problemi del Paese.

Per Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, le considerazioni finali sono una “richiesta da parte del Paese a tornare a parlare di cose reali: lavoro, condizioni sociali e prospettive per il Paese”. Sullo stesso tono il commento del leader della Cisl, Raffaele Bonanni, che condivide le tesi sulla crescita, l’esortazione sul contrasto all’evasione fiscale e sulla spesa pubblica”. Secondo Luigi Angeletti, segretario della Uil, il governatore “ha fatto una fotografia molto fedele della realtà, sia delle imprese che delle banche”.