"In Italia si pensa spesso che i nostri interessi siano condivisi dagli altri Stati membri dell'Ue, ma è normale che non sia così: basti ricordare che nel 1989 il crollo del Muro ebbe un impatto molto maggiore sulla Germania che sui Paesi del Sud dell'Unione europea".
Lo rileva Christopher Hein, direttore del Cir-Consiglio italiano Rifugiati. "Anche in passato si è parlato di due milioni di ungheresi in fuga, che invece poi sono rimasti a casa loro".
"Oggi, la richiesta italiana all'Ue ha avuto risposte deludenti anche perché le cifre fotografano un flusso maggiore di rifugiati verso i Paesi del Nord".
"La politica italo-libica dei respingimenti non è stata criticata dall'Europa malgrado ovvie violazioni dei diritti comunitari", osserva Hein. "L'aiuto italiano al confine tunisino tiene conto del fatto che i primi movimenti avvengono via terra. Non si tratta di altruismo, ma del tentativo di creare una barriera, affinché i profughi non attraversino il Mediterraneo".
"Quasi tutti i 7.300 giovani tunisini fin qui giunti in Italia non sono perseguitati politici ma disoccupati, migranti economici. E' un fenomeno che occorrerà distinguere quando cominceranno gli arrivi dalla più ricca Libia".
"Il governo parla di un piano Marshall per i Paesi arabi in rivolta, un piano che non potrà nascere perché mancano sia i fondi sia una progettualità", rileva Nino Sergi, presidente di Intersos. "Da anni siamo alle prese con lo slogan ‘aiutiamoli a casa loro' da un lato, e dall'altro con i tagli dei fondi per gli aiuti esteri, calati del 70% negli ultimi anni. Occorre dunque percorrere altre strade, con decisioni che devono per forza nascere in ambito europeo". "Vari tentativi sono falliti perché è prevalso l'aspetto concorrenziale tra i singoli Paesi, a scapito di un più auspicabile approccio unico".
Secondo Sergi, sono tre i punti attorno a cui focalizzare la politica europea per la sponda Sud del Mediterraneo:
- Ricordare che i flussi migratori ci sono sempre stati e oggi non c'è alcuna anomalia rispetto al passato;
- Accettare l'Islam come una religione con cui confrontarsi, superando l'equazione "Islam=terrorismo";
- Apertura in termini di mercato interno, integrazione economica, mobilità.
"Se l’Europa non è aperta, rischia di restare sola a guardarsi l’ombelico. Le opportunità ci sono: servono una visione ampia e scelte coraggiose", conclude.