Festival del Cinema di Roma


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Julianne Moore, un film e un premio

L’attrice: 'Un’idiozia la frase di Berlusconi sui gay'. In concorso 'I fiori di Kirkuk' e 'Little sparrows'

Julianne Moore è venuta al Festival del Film di Roma per presentare il film fuori concorso “The kids are all right”, storia di una coppia omosessuale diretta da Lisa Cholodenko, e per ricevere il Premio Marc’Aurelio all’Attore, e si trova - ahinoi! - a dover commentare la frase del premier Berlusconi “è meglio essere appassionati di belle ragazze che gay”. “Penso che una frase del genere - ha detto Moore - sia un peccato, e qualcosa di arcaico e idiota. Viviamo in un'epoca in cui cose del genere contano poco e poi ci sono stati nella storia tanti grandi personaggi omosessuali. Insomma, un'espressione arcaica, infelice e imbarazzante”.

Steso il classico velo pietoso, ricordiamo che sono tre i film oggi in concorso: “Golakani Kirkuk- I fiori di Kirkuk” di Fariborz Kamkari (che in conferenza stampa ha lanciato un appello per continuare a lottare per la liberazione di Sakineh, la donna iraniana condannata alla lapidazione), “Little sparrows” di Yu-Hsiu Camille Chen e “Bei Mian” di Liu Bingjian. Tra gli eventi, l’omaggio alla sceneggiatrice Suso Cecchi d’Amico , scomparsa quest’anno, e il duetto tra Giancarlo De Cataldo e Gabriele Salvatores dal titolo “Obiezione, vostro onore”, un dialogo su Cinema e Giustizia commentando scene di film a tema.

Mercoledì 3 novembre tocca all’ultimo italiano in competizione, Guido Chiesa con “Io sono con te”. In concorso anche “Kill me please” del belga Olias Barco e fuori concorso la puntata pilota di “Boardwalk Empire”, la serie prodotta da Martin Scorsese.

I RAGAZZI STANNO BENE
di Lisa Chodolenko
Annette Bening, Julianne Moore, Mark Ruffalo, Mia Wasikowska, Josh Hutcherson.

Ci si sente sempre un po’ di provincia, noi qui in Italia, di fronte a certi temi, anche se raccontati in una commedia semplice come questa. Se poi il capo del nostro governo fa pure certe “battute”…

Nic e Jules (Bening e Moore) si amano, sono sposate e hanno due figli ottenuti con l’inseminazione artificiale: Joni e Laser. Una famiglia che funziona alla perfezione, con Nic che ha avuto tempo e modo di dedicarsi di più alla sua professione di medico e Jules che ha seguito di più i bambini, lavorando a tratti e ora con l’idea di rimettersi in gioco e fare la progettista di esterni (ma non chiamatela giardiniera). Il classico imprevisto che sconvolge tutto è la richiesta di Laser, che ha 15 anni, alla sorella Joni che ne ha 18 e sta per andarsene al college: il ragazzo vuole conoscere il loro padre biologico, e vuole che Joni lo aiuti a rintracciarlo. Detto fatto, senza coinvolgere le mamme, i due ragazzi incontrano e conoscono Paul (Ruffalo), spensierato e affascinante ristoratore sulla cinquantina che a malapena ricorda di quando a 19 anni aveva fatto il donatore di sperma (“solo perché più divertente del donatore di sangue”). Paul entra, in verità trascinato, nella vita di Laser, Joni, Jules e Nic. Ognuno lo accoglierà a modo suo, per tutti cambierà qualcosa.

Lisa Cholodenko (“High Art”, “Laurel Canyon”) insieme con Stuart Blumberg ha costruito la sceneggiatura di “The kids are all right” (dal titolo di una canzone degli Who) basandosi molto sulla sua storia personale. Il film è una commedia divertente e intelligente sulla famiglia, i sentimenti, la fatica del matrimonio e dei figli. In generale, indipendentemente dal sesso o da altro. “A New York – dice Julianne Moore - coppie simili sono abbastanza normali. Io stessa con i miei figli faccio un gioco molto noto che si chiama ‘il gioco della vita’ in cui loro dicono: ‘Chi sposo, un ragazzo o una ragazza?’, perchè sono abituati a vedere coppie composte da due donne o due uomini. Anzi credo che questo sia il futuro”. E da questo punto di vista il racconto regge alla perfezione, nella caratterizzazione dei personaggi, nei ruoli, nelle vicende in cui ognuno può rivederci il proprio, quotidiano vissuto. Narrato, appunto, con garbo, intelligenza e ironia. Dove il film inciampa, secondo noi, è nel giudizio eccessivamente impietoso a cui viene sottoposto il personaggio maschile (proprio perché “maschile”?), in alcune “cadute” nei luoghi comuni, come quando Jules dice a Laser: “Vorrei fossi gay così saresti più sensibile”, o in soluzioni di sceneggiatura che paiono non necessari messaggi “tranquillizzanti”, quando la regista si premura di farci vedere che entrambi i figli sono saldamente eterosessuali. Dettagli, forse. Come la curiosità che nel film recitano in due brevi cameo Sasha Spielberg e Zosia Mamet, figli rispettivamente di Steven e David, e che l’attrice Yaya Costa la rivedremo presto e volentieri. (Sa.Sa.)

I FIORI DI KIRKUK
di Faribrz Kamkari, Irak, Svizzera,Italia 2010
Morjana Alaoui, Ertem Eser, Mohamed Zouaoui, Mohammed Bakri.

Najla e Mokhtar, sono sue studenti di medicina in Italia che si amano, ma lei è irachena e lui curdo. Tutto va bene fino a quando lui torna dalla sua famiglia e scrive una inspiegabile lettera d’addio. Lei corre a cercarlo ma in Iraq, durante il regime di Saddam Hussein, è in atto la persecuzione ed il genocidio della minoranza etnica dei curdi.

Girato interamente in Iraq, tra la cittadina di Erbil e quella di Kirkuk, il film narra l’odissea di questa coraggiosa donna araba che si trova a dover scegliere tra le proprie tradizioni famigliari e i sentimenti e gli ideali che la animano. La protagonista Najla sceglie infatti, col cuore, di aiutare proprio quelle minoranze perseguitate dagli aggressori a cui, per famiglia, lei stessa appartiene. “Il ruolo che interpreta Marjana Alaoui, attrice franco marocchina, per molti versi ricorda Sakineh - spiega il regista Fariborz Kamkari - anche lei sfida le regole previste per lei dalla società e, in qualche modo, si sacrifica per amore. Il caso di Sakineh - continua Kamkari - non è isolato nel mondo arabo e musulmano. Ce ne sono molti altri, ma spesso, per motivi politici, sono stati ignorati. Spero che ora ci sia un maggiore impegno civile”. E rinnova l’appello al mondo di impegnarsi in difesa di Sakineh.

“I fiori di Kirkuk” è uno dei pochi film in cui si parla della tragedia del popolo curdo visto da chi lo ha vissuto. Ma la pellicola non è solo un film di denuncia ma anche una bella storia d’amore. Una nota per la colonna sonora del film che è stata realizzata ed eseguita dall'Orchestra di Piazza Vittorio. (J.S.E.)



LITTLE SPARROWS

di Yu-Hsiu Camille Chen, Australia 2010 (Umedia)
Nicola Bartlett, James Hagan, Nina Deasley, Melanie Munt, Arielle Gray
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Ad avere il tempo, quando il tempo è finito, si allevia il dolore, si aiuta il distacco, si alleggerisce l’anima.

E’ Natale nella caldissima estate australiana. Susan (una bravissima Bartlett) è sposata con James, un attore diventato famoso in tarda età, affettuoso ma distratto (“se sei nel suo campo visivo ti ama alla follia” dice Susan), col quale ha tre figlie, Nina, Anna e Christine, i suoi tre piccoli passerotti. Nina ha perso il marito in un incidente e si è cresciuta due figli da sola, senza concedersi di aprire di nuovo il suo cuore. Anna è un’attrice ed è sposata con Mark, marito freddo e assente dal quale lei vorrebbe un figlio, e finisce per rifugiarsi con tutta se stessa tra le braccia di un collega. Christine è la più giovane e spensierata, che vive con discrezione più che in segreto la sua omosessualità e il suo rapporto con la fidanzata. Susan, madre e moglie amata, ha avuto il cancro al seno, dal quale è guarita. Ma come spesso capita, la “bestia” torna, e questa volta per uccidere. E nemmeno questa volta potrà permettersi di non essere la più forte.

Al suo primo lungometraggio Yu-Hsiu Camille Chen, un passato tra pubblicità e televisione, racconta in punta di macchina da presa una storia piccola di gigantesche emozioni. Il racconto fatica un po’ a decollare, ha lentezze e ripetizioni, ma poi veniamo coinvolti nei primi piani, nei pensieri, nelle lacrime, nei sospiri di questa madre che dà l’addio alla sua famiglia, persona per persona, rispettando il carattere di ognuno, ascoltandone confessioni e segreti, scoprendone le debolezze e regalando loro le ultime parole consolatorie, quelle che ricorderanno per il resto dei loro giorni. Senza esagerare, regalando amore, e con la giusta miscela di sorriso e dolore. (Sa.Sa.)