di Maurizio Iorio
Alla fine non si riusciva più a capire se quel suo volto dolente suscitasse più tenerezza, compassione, o rabbia. Se quella maschera sbiadita fosse l’espressione reale di una sofferenza interiore, oppure solo la manifestazione somatica di una delle prime vittime della società del consumo di massa, in cui l’apparire si è sostituito all’essere diventando essere esso stesso. La forma come sostanza.
Che il ragazzino dell’Indiana abbia dato una bella accelerata, insieme a Madonna, alla fenomenologia dell’ estetica applicata alla musica, è fuori discussione. Come è fuori discussione che proprio il suo essere anche “altro”, oltre che musicista, alla fine per lui si sia rivelato un disastroso boomerang. Le discutibili questioni riguardanti la sua vita privata, dalla droga alle operazioni chirurgiche, ai sospetti di pedofilia, alla camera iperbarica nella quale si mormora che dormisse (per non invecchiare), hanno finito per confondere realtà e fantasia, vita reale e gossip, finendo per farlo diventare la prima vittima, e anche la più famosa, di quella che oggi viene definita “macelleria mediatica”.
Ad un anno esatto dalla sua prematura scomparsa, anche’essa avvolta in una inestricabile nebulosa, dell’uomo Jackson, del Jackson di “Thriller” e del miliardo di dischi venduti, del Jackson del Moonwalk, del cantante che ha “sbiancato” il vocalismo nero, forse rimane un’eredità minimale, in cui la forma, per l’appunto, ha finito per distruggere la sostanza.
Che era invece quella di un musicista geniale, in anticipo sui tempi, duttile ed intuitivo, sensibile e pieno di paure, molto essere umano e, malgrado tutto, poco popstar. In fondo, per tutti, Michael Jackson era un ragazzino mai cresciuto, asessuato e senza età, neutro fino a diventare inoffensivo, e per questo rassicurante. Simbolo vivente degli innocui fantasmi di cui sono infarcite le sue canzoni. Che, appunto, fanno paura solo ai bambini, che adorava e che lo adoravano.
Michael Jackson se n’è andato vittima, prima di tutto, della sua ipocondria e delle sue ossessioni, incapace di affrontare un mondo che pretende la perfezione e disdegna i difetti, ammira la forza e disprezza la debolezza. Incapace di interpretare il suo ruolo di star, di eroe senza macchia e senza paura, Jackson è stato distrutto dalle presunte ingiustizie e dell’isolamento cui il successo, e i media, lo avevano condannato (“Leave me alone”, “You are not alone”).
Trasformato in un personaggio mediatico (“Stranger in Moscow”) , in un clown da circo nel quale non si riconosceva, Michael Jackson aveva disegnato il suo futuro destino già nella maschera dolente di quel geniale video girato da John Landis, “E spettri scuri da ogni tomba/ Si stanno avvicinando per compiere il tuo destino/ E anche se tu combatti per restare vivo/ Il tuo corpo inizia a tremare/ Poiché nessun mero mortale può resistere/ Alla malvagità del Thriller” .