di Maurizio Iorio
Alexia, all’anagrafe Alessia Aquilani, pubblica “Stars”, il suo nuovo album, un cd “breve”, che la vede in copertina incorniciata in un televisore d’altri tempi, quasi a voler significare, sin dalla cover, che la nostalgia per una tv contrassegnata dal buon gusto, seppur bacchettona, è forte anche in chi quell’epoca (gli anni ’50) non l’ha vissuta, ma ne ha comunque, quasi per osmosi parentale, assorbito lo spirito. Solo sei i brani, due dei quali offerti anche in riletture con arrangiamenti diversi (“Stars” disco e “Perfect Day” in chill-out).
Il marchio della dance è sempre presente in Alexia, che ha nel groove degli anni ’80 un suo evidente punto di riferimento. Ma in “Stars” non c’è solo la dance. Anche il pop-rock e la ballad fanno capolino in questo nuovo lavoro, che vede la luce ad oltre un anno di distanza da “Ale & C.” . Un album corto, dicevamo, costruito così anche “con l’intenzione di poterlo vendere a un prezzo competitivo”, precisa Alexia a Televideo. “Non voglio che i ragazzi rinuncino alla musica perché hanno pochi soldi. E poi volevo fare un album di qualità, con ogni brano che avesse qualcosa da dire, che si reggesse in piedi da solo. Volevo anche evitare che, come succede spesso, alcune delle canzoni di cd composti da 15-16 titoli venissero dimenticate. Inoltre, sei brani non mi obbligano a modificare più di tanto le scalette dei miei concerti”. La componente “live” è molto importante per Alexia, vero e proprio animale da palcoscenico. “I sei brani mi rappresentano appieno. Quando sei davanti alla gente riesci ad accorgerti se quello che hai scritto viene dal tuo cuore”.
Che cosa vuoi raccontare al tuo pubblico?
“Me stessa, l’esperienza che ho fatto fin qui come artista. Spesso i ragazzi mi chiedono come si fa a diventare una star. E io rispondo che è un mestiere, un lavoro duro, è una cosa diversa ”.
Parli anche dell’attualità…
”Cerco di raccontare a società di oggi, che è fragilissima. Abbiamo fatto talmente tanti passi in avanti, che dal punto di vista umano siamo tutti destabilizzati. Noi non siamo preparati per viaggiare a queste velocità. Ci mettiamo nove mesi per essere formati e nascere, siamo animali lenti. Tutti questi cambiamenti repentini della società destabilizzano soprattutto i giovani, che poi fanno fatica a vedere un futuro roseo, a relazionarsi con gli altri, con l’altro sesso, ad esprimere i sentimenti, a cercare un lavoro”.
Hai espresso forti perplessità sulla televisione di oggi..
“Credo che la televisione sia un contenitore, e può contenere due cose: una sostanza rigida che poi riesce a vivere di vita propria anche fuori dal contenitore, ed una molle, liquida, che invece una volta fuoriuscita si disperde. Oggi la televisione è soprattutto questo”.
I testi delle tue canzoni sono in inglese-italiano. Non pensi che sia fuorviante per chi ascolta?
“A me viene naturale scrivere in inglese. E mi dispiace che nella traduzione qualcosa si perda. Però sento che gli inserimenti in italiano danno forza anche ai contenuti in inglese. In fondo è quello che faccio anche sul palco, dove passo senza problemi da una lingua all’altra”.
L’album è musicalmente trasversale…
”Sì, c’ho messo dentro tutte le mie esperienze, sia la dance che il pop-rock”.
Tu hai molto successo all’estero. Che differenze ci sono col mercato italiano?
“All’estero recepiscono la mia musica, anche quella cantata in italiano, con uno spirito diverso. Io mi sento un’artista internazionale. E all’estero ho sempre avuto meno timore ad esibirmi. In Italia, col fatto che facevo solo musica dance, venivo considerata un progetto di studio e basta. Oggi va meglio, ho un atteggiamento più distaccato”.
La disco degli anni ’70 sta tornando molto in voga. Quel tipo di musica quanto ti ha influenzato?
“Gli anni ’70 li ho sfiorati, ma mi hanno lasciato un bel segno. A casa mia c’era sempre la radio accesa, e quindi ho assorbito molto dalle varie Donna Summer, Gloria Gaynor, che erano delle grandissime professioniste. Sapevano cantare , ballare, recitare, lavorare di mimica facciale”.
Oggi fare musica è molto più facile rispetto al passato, molto meno costoso. Non pensi che questo sia un filtro al contrario, che ci sia meno selezione?
“Sono d’accordo, io lavoro ancora come facevo agli inizi. Preferisco metterci il tempo necessario, ma fare prodotti di qualità”.
Nel tuo curriculum c’è anche Sanremo con Mario Lavezzi, che non è certo l’ultimo arrivato…
“Per me è stato un grande onore. Quando abbiamo registrato il brano non pensavamo a Sanremo. E’ anche questo un segno che bisogna fare musica con il cuore”.