di Nello Rega
La vicenda del blocco, con la forza, della flottiglia con a bordo aiuti umanitari da parte delle forze israeliane è solo l’ultimo episodio in ordine di tempo del braccio di ferro tra Israele e la Striscia di Gaza. Tensioni, violenze, controlli, lanci di razzi Qassam, ritorsioni sono all’ordine del giorno nella difficile convivenza nel fazzoletto di terra che vede da una parte lo Stato di Israele, dall’altro la Cisgiordania (controllata dall’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen) e la Striscia di Gaza (in mano ai fondamentalisti di Hamas). Questi ultimi dal giugno del 2007 hanno preso il totale controllo del territorio dopo aver sconfitto le forze militari e di polizia del presidente di Fatah e dell’Anp Abu Mazen.
Da quella data in poi Israele ha chiuso ermeticamente i suoi confini riducendo le forniture di carburante e limitando la circolazione delle persone. Molte organizzazioni internazionali hanno condannato il blocco di Gaza che, invece, per Israele è una misura necessaria per tentare di impedire il lancio di razzi dalla Striscia contro i suoi cittadini. Attualmente i Territori palestinesi sono divisi dallo Stato israeliano. Da una parte la Cisgiordania, con capitale Ramallah, sede del governo palestinese e della presidenza Abu Mazen, dall’altra Gaza, dove dal 2007 vige il controllo di Hamas.
Lunga 45 chilometri e larga 10, la Striscia è incuneata tra il Mediterraneo (a Ovest), la penisola egiziana del Sinai (a Sud) e Israele (a Est e Nord). Ci vivono oltre 1 milione e mezzo di palestinesi, di cui più della metà composto da famiglie di profughi delle passate guerre arabo-israeliane. Gaza ha una delle maggiori densità di popolazione al mondo e uno dei più alti tassi di crescita demografica. La maggior parte degli abitanti vive con meno di 2 dollari al giorno, con una disoccupazione che supera il 50%.Con il piano voluto fortemente dall’ex premier Sharon, dal settembre 2005 Israele ha completato il ritiro dei suoi soldati e coloni dalla Striscia consegnandola interamente all’Autorità nazionale palestinese. Alla fine del 2007, dopo le violenze tra Hamas e Fatah e il ripetuto lancio di missili da parte dei miliziani di Gaza in territorio israeliano, Israele ha proclamato l’intera Striscia “entità nemica”, adottando dure sanzioni economiche. Le forniture di carburante ed energia elettrica sono state ridotte, le frontiere chiuse al transito di merci e popolazione consentendo solo il passaggio di aiuti umanitari, sempre dopo i controlli da parte dei soldati israeliani.
Alla fine del 2008, due anni dopo il sequestro del caporale israeliano Shalit da parte di miliziani di Gaza, Israele ha lanciato sulla Striscia operazione militare “Piombo fuso” per mettere fine al lancio di razzi Qassam e per trovare il luogo di prigionia di Shalit. Dopo 22 giorni di bombardamenti e azioni sul terreno, 1.400 morti e migliaia di feriti, è stata proclamata una tregua tra Hamas e Israele. Il flebile “stop di violenza” è durato poco, a differenza dell’embargo contro il territorio governato dagli integralisti di Hamas. Divergenze politiche a parte, le sanzioni economiche imposte alla Striscia hanno esasperato le condizioni di vita dei palestinesi. Secondo i dati dell’Onu, il numero delle persone che non ha alcuna sicurezza per l’accesso al cibo e che non dispone dei mezzi per procurarsi beni essenziali come sapone e acqua pulita è triplicato dal 2007. Il blocco al transito di merci ha creato una economia illegale: negli anni si sono moltiplicati i tunnel sotterranei che fanno arrivare dall’Egitto cibo, benzina ma anche armi e munizioni. Un fenomeno al quale il Cairo ha deciso di mettere la parola fine. Manca, infatti, molto poco alla fine della costruzione di una barriera di acciaio profonda fino a 30 metri che impedirà i traffici illeciti lungo i tunnel. Una decisione accompagnata da quella di riaprire, non più con il contagocce, il valico di Rafah, unico al momento disponibile, per il passaggio di aiuti umanitari destinati alla Striscia di Gaza. Soluzione delle questioni di emergenza a parte, l’acuirsi della questione “Gaza” ha rilanciato la necessità di tornare al tavolo dei negoziati. Auspicio fortemente lanciato anche dalla Casa Bianca, all’indomani del caso del blocco della flottiglia. “Lo status quo non è sostenibile”, ha detto il vicepresidente americano Biden. Messaggio che non lascia, certamente, indifferente il premier israeliano Netanyahu, secondo il quale però non è possibile parlare di pace se “Hamas non rinuncerà alle violenze contro Israele e gli israeliani”.