Un tribunale di Bhopal ha emesso oggi una sentenza di colpevolezza nei confronti di otto imputati, tutti indiani, responsabili della tragedia avvenuta oltre 25 anni fa in una fabbrica della capitale dello Stato di Madhya Pradesh, nell'India centrale.
Quella notte, tra il 2 e 3 dicembre 1984 a Bhopal oltre 40 tonnellate di gas tossici fuoriuscirono dalla fabbrica di pesticidi della 'Union Carbide India Ltd', consociata della multinazionale statunitense. Nel giro di poche ore morirono a causa delle esalazioni circa 4mila persone e altre 4mila nei primi tre giorni della tragedia.
Negli anni seguenti, altre diecimila o ventimila persone, secondo le diverse fonti, morirono per malattie contratte quella notte. Oltre 500 mila persone soffrono ancora delle conseguenze del disastro. La vita per i sopravvissuti e' ancora tormentata da gravi problemi di salute ed estenuanti battaglie legali.
La Union Carbide ha pagato 470 milioni di dollari per i danni causati, in seguito a un accordo raggiunto col governo indiano nel 1989. Una cifra contestata dalle organizzazioni delle vittime e dagli ecologisti indiani perché le stime di indennizzo vennero fatte sull'ipotesi di circa 4mila morti e in questo ambito nessuna famiglia ha ricevuto più di mille dollari. Dopo il disastro la Union Carbide, allora proprietaria, abbandonò la fabbrica, lasciando ingenti quantità di veleni. Secondo Greenpeace e' ancora tossica la falda acquifera della zona.
Il presidente della Union Carbide al tempo della tragedia, lo statunitense Warren Anderson, lasciò la carica nel 1986. Nel 1992 l'India spiccò contro di lui un mandato di cattura internazionale, ma da allora è considerato 'latitante'. Anderson era stato arrestato nel 1984, ma rilasciato dietro cauzione da un tribunale indiano. Il 31 luglio 2009 la magistratura indiana ha spiccato un nuovo mandato di arresto nei suoi confronti che però non e' stato ancora eseguito. Oggi nella sentenza del tribunale indiano Anderson non e' stato menzionato perché ancora latitante.