La vitivinicoltura della Georgia ha 3000 anni di storia, una saga unica e grandiosa legata alla cura del vigneto e alla produzione del vino. Le radici di questa storia si percepiscono in ogni aspetto della cultura locale: dalle canzoni all’architettura, dalla letteratura ai culti rituali, dall’alfabeto (che in alcuni aspetti grafici ricorda la forma della vite) alle cerimonie religiose, fino alla sfera pratica della vita quotidiana.
La Georgia, stato indipendente dopo la fine dell’Urss, si estende per circa 70 mila chilometri quadrati nella regione caucasica ed è caratterizzata per tre quarti della sua estensione da rilievi collinari e montuosi; è bagnata a ovest dal Mar Nero e confina con Turchia, Russia, Armenia e Azerbaijan. Il clima varia da subtropicale a temperato. La popolazione ammonta a circa 5 milioni di abitanti, e a parte i georgiani pari a oltre l’80% del totale, si contano un’ottantina di etnie differenti; la religione maggiormente diffusa è quella cristiano-ortodossa.
L’antichità dell’attività vitivinicola “georgiana” è attestata dai ritrovamenti di scavi archeologici che hanno riportato alla luce vinaccioli risalenti al VII-VI millennio a.C. nelle zone di Kakheti e Kartli, e altri databili circa un millennio più tardi presso Anaklia e Dika-Kuzuba, a conferma che c’erano viti tanto a est quanto a ovest degli attuali confini già a partire dall’era neolitica; e ancora, vinaccioli in abbondanza si sono trovati anche in antiche tombe nel sud del Paese, come nella Valle di Alarani.
Già Omero cita nell’Odissea i vini profumati e frizzanti della Georgia, così come, tra gli altri, ritroviamo richiami in Apollonio, Senofonte e Procopio. La Georgia, di diritto, è considerata uno dei centri primari di domesticazione della vite e ancora oggi, ad altitudini che arrivano a 1000 metri sul livello del mare, si trovano esemplari di Vitis Vinifera Silvestris, capostipite di tutte le varietà di vite.
Anche nelle storie sacre della cristianità georgiana la vite riveste un ruolo importante, basti pensare all’evento in cui la Santa Nino, che per prima predicò e introdusse il cristianesimo in Georgia, legò i tralci a forma di croce con i propri capelli (in effetti qui la religione ha assunto come simbolo proprio la croce realizzata con sarmento di vite, a testimonianza dell’importanza di quello che è fin da allora ritenuto un tesoro nazionale).
Il grande sviluppo dell’attività vitivinicola c’è stato negli ultimi tre secoli, in particolare nella regione di Kakheti, nella parte orientale del Paese, dove troviamo il 48% dei vigneti della Repubblica. Si tratta della regione viticola più importante, un altopiano compreso tra i 400 e gli 800 metri di altitudine, attraversato dai fiumi Alazani e Iori. Il clima è temperato, grazie alla protezione della catena caucasica dalle correnti settentrionali, e si registrano precipitazioni annue pari a 400-800 mm.
Qui si coltivano oltre 500 varietà d’uva, da cui si ottengono vini che trovano spazio anche nei mercati esteri. Il sistema di allevamento più diffuso è il cosiddetto “georgiano” (lontanamente simile al Guyot), in uso da secoli.
Nel cuore dell’area vocata di Kakheti ha sede l’azienda Badagoni (www.badagoni.ge). Più nel dettaglio, si trova a Zemo Khodasheni, nella zona di Akhmeta. Si tratta di un marchio riconosciuto a livello internazionale, che si è guadagnato importanti premi e riconoscimenti. Il suo nome è ereditato dall’antica divinità georgiana dell’abbondanza del raccolto dei vigneti, del vino, della riproduzione e del benessere; possiede circa 330 ettari di vigne nelle zone di Akhmeta (dove crescono le varietà Saperavi, Rkatsiteli, Mtsvane, Khisi), Khvareli, Mukuzani e Akhasheni (zone di Saperavi), Akura (varietà Rkatsiteli, Tsinandali), Ojaleshi (varietà Ojaleshi). La gamma conta una ventina di etichette, tra cui alcune molto famose come Tsinandali, Gurjaani, Vazisubani, Saperavi, Mukuzani, Alazani Valley, Kindzmarauli, Akhasheni. Dal 2006 Badagoni ha cominciato a produrre in esclusiva il Kakhetian Noble.
Con la conclusione dei lavori di costruzione della cantina a Zemo Khodasheni, nel 2006, Badagoni (che si avvale della collaborazione di Enosis, centro di ricerca applicata in enologia e viticoltura, e del suo fondatore, l’enologo italiano Donato Lanati) è entrata a pieno regime arrivando a lavorare le 3000 tonnellate d’uva prodotte. L’inaugurazione ha avuto un’ampia cassa di risonanza, hanno infatti presenziato anche il presidente ed il primo ministro georgiani, mentre alcuni giorni dopo la cantina è stata visitata dal Patriarca della Georgia, Ilia Secondo. Dotata delle più moderne attrezzature, la struttura sorge al centro di una pianura dalla quale si scorgono la bellissima catena del Caucaso e l’antico Duomo di Alaverdi, all’interno del quale vive una comunità religiosa molto legata all’azienda. Durante gli scavi legati ai lavori di restauro nell’area del Duomo, curati peraltro dalla Badagoni stessa, sono venute alla luce antiche anfore da 50 ettolitri che erano impiegate proprio per le pratiche di vinificazione. Presso l’antica cantina del Duomo (anch’essa ammodernata ad opera della Badagoni) si produce un vino assolutamente unico, il vino della chiesa, per il quale si segue l’antico protocollo custodito dalla tradizione sacerdotale. L’azienda organizza tour guidati per i turisti che desiderano visitare la propria cantina, quella del Duomo, e prepara anche suggestivi percorsi in diverse regioni del Paese, secondo le stagioni.
Abbiamo chiesto a Donato Lanati perché ha accettato di lavorare a Badagoni. Ecco la sua testimonianza.
Un italiano in Georgia : “Tutto cominciò col Barbera”
di Donato Lanati, enologoPerché sono in Georgia? Quando avevo otto anni, in un pomeriggio di fine estate i miei genitori mi sguinzagliarono in un vigneto di Barbera in Piemonte. Fui subito attratto e illuminato da quelle sfere blu intenso che si raccoglievano, una vicino all’altra, a formare delle piramidi quasi perfette rivolte all’ingiù. Fui attratto da quelle geometrie senza spigoli, fatte di elementi vellutati e dal colore così bello, che esprimevano un qualcosa di impalpabile, che a sua volta fece scattare in me la decisione che per tutta la vita mi sarei dedicato all’enologia e avrei studiato le varietà di vite che man mano avrei incontrato nel mio percorso di vita. Ero piccolo, molto piccolo, ma la mia passione per la vitivinicoltura non smise di accompagnarmi ogni giorno, diventando sempre più grande. Nel mio paese, l’Italia, ho avuto l’opportunità di studiare e imparare da grandi Maestri la fisiologia della vite, l’importanza dei territori e molti di quei fenomeni complessi che avvengono nella fermentazione e nell’affinamento dei vini. Fenomeni diversi da varietà a varietà, perché ogni uva coltivata ha tannini, antociani e corredi aromatici che rispondono in modo differente, la cui originalità diventa arte quando riesce ad esprimere il territorio e la varietà, ma soprattutto quando riesce ad esprimere emozioni. Oggi il consumatore è diventato più informato e curioso e vuole allargare la sua cultura. In questi ultimi anni la qualità in senso generico non è più sufficiente ai consumatori; tra questi ha preso piede la voglia di comprendere le caratteristiche varietali, mentre i più appassionati pretendono di veder evidenziata nel vino la peculiare qualità di stampo territoriale. Ma non basta. I più interessati vogliono capire perché quella varietà si trova in quel determinato ambiente, a iniziare da quando ha cominciato a far parte del corredo di una data civiltà o di un popolo in particolare. Sembra assurdo ma quest’ultimo traguardo è proprio l’anima del vino; sapori, profumi, colori, storia, tradizioni, fatiche, saperi tramandati da generazioni, tutto concentrato in un sorso: ecco cosa ha il vino più di ogni altra bevanda al mondo. Un bicchiere evoca il suo territorio, il suo presente e il suo passato.
Già all’inizio della mia carriera ho deciso di lavorare solo per i vini italiani e soprattutto per i vitigni autoctoni italiani; approfondendo ho scoperto che per molte nostre varietà non stavamo percorrendo la giusta strada per far loro esprimere tutto il proprio potenziale. Dalla ricerca che ne è scaturita mi è sembrato naturale cercare di scavare più a fondo, di andare alle radici non solo delle viti ma anche della storia ad esse legata, e così arrivai alla vecchia Mesopotamia: la terra in cui la domesticazione della Vitis silvestris è avvenuta in maniera più decisiva.
Ho scoperto che il popolo Georgiano, con la sua storia millenaria, fece della vite la sua più importante ricchezza naturale. I grappoli, i tralci e le foglie accompagnano ogni icona, ogni ornamento che appare sui tutti i libri di storia.
Oggi, dopo 30 anni di esperienza, mi sembra di ricominciare un’altra vita perché in Georgia ho riscoperto in me il bambino che ero tanti anni fa, quel bambino di otto anni che non poteva sapere del suo futuro in enologia ma che dentro di sé sentiva già la ricchezza che la vite e il vino sanno dare.
Ogni volta che vengo in Georgia odo gli echi dell’origine della vite e del vino; non sono venuto per stravolgere ma per ascoltare e difendere varietà e territorio proprio come seppe fare la civiltà locale.
Io devo ringraziare la Georgia per quello che mi ha insegnato e spero di rendermi utile per il territorio e per la sua gente. Per questo mi sento di far parte della famiglia di Badagoni.
È il fondatore di Enosis, centro di ricerca applicata in enologia e viticoltura.