Un libro sui romeni in Italia


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La conoscenza vince il pregiudizio

A Montecitorio il libro 'Romeni. La minoranza decisiva per l'Italia di domani' di Alina Harja e Guido Melis f

“La conoscenza vince il pregiudizio. Questa massima dettata dal buon senso comune è più che mai valida se applicata ai processi di integrazione dei nuovi italiani nel tessuto civile del nostro paese”. Il presidente della Camera Fini apre le porte di Montecitorio ad un appuntamento letterario. Nella sala del Mappamondo si parla di “Romeni. La minoranza decisiva per l’Italia di domani” (Autori: Alina Harja e Guido Melis, Rubbettino editore). Quello dell’immigrazione e dell’integrazione dei “buoni” è argomento caro a Fini Al dibattito sono presenti Giuliano Amato, Luigi Manconi che ha scritto la prefazione („I romenie e l’ostilità variabile”) e Aldo Di Biagio, responsabile Pdl all’estero.

I romeni: quanti sono, chi sono, da dove vengono, come e dove vivono e lavorano, cosa pensano di se stessi e degli italiani, quali sono le loro simpatie politiche, quali preoccupazioni e speranze nutrono per sé e per i propri figli. Attraverso una serie di interviste e l’attenta ricognizione della cronaca (non solo di quella nera) da questo libro emerge la realtà di un popolo di quasi un milione di persone, con le sue ansie e le sue passioni: un popolo che qualcuno vorrebbe rappresentare sotto l’etichetta di «delinquenti naturali», ma che rifiuta con sdegno tale definizione, considerandola un insulto. Parlano in prima persona le ragazze e i ragazzi, i giornalisti corrispondenti di Bucarest a Roma, il vescovo greco-ortodosso e il suo clero, gli imprenditori a capo delle 27.000 aziende romene in Italia, i musicisti, gli operai, i lavoratori dell’agricoltura, le colf e le badanti. È un’umanità ricca di cultura, orgogliosa della sua identità e animata da una volontà di riscatto che si traduce nella richiesta di una sempre maggiore integrazione.

“ Se l’Italia -scrivono gli autori- fallisce oggi sul banco di prova dell’integrazione della comunità romena , la più simile a noi tra le varie etnie che vivono nella penisola per le evidenti affinità storiche e culturali che reciprocamente ci avvicinano,allora sarà molto più complicato, forse impossibile, integrare domani qualunque altra comunità più estranea alla nostra cultura” . Questo è un “quesito serio” per il presidente Fini che ricorda “che la riuscita della politica d’integrazione dipende anche dalla conoscenza dello specifico profilo culturale e civile delle varie comunità di immigrati” e cita l’apporto che la cultura romena ha fornito alla più vasta cultura europea, da Mircea Eliade a Eugene Ionesco, fino a Vintila Hòria (con il suo libro più bello“Dio è nato in esilio”) senza tralasciare le comuni origini latine dei due popoli.

“Alla base dei pregiudizi che circondano oggi i romeni e in generale tutti gli immigrati- precisa Fini-c’è innanzitutto un vuoto di memoria culturale che riguarda la politica e l’informazione, non meno che la società. I pregiudizi sono il prodotto di stereotipi mediatici:da quello che vuole confinati i romeni nelle mansioni di colf, badanti e lavoratori edili, a quello di natura xenofoba, che li associa ai fatti di violenza che rimbalzano, spesso con notevole enfasi, sui giornali”. Il Presidente chiama in causa la stampa italiana, superficiale e incline a enfatizzare l’origine etnica degli autori dei crimini: “Il marchio infamante di stupratori, affibbiato alla comunità romena, è uno degli stereotipi più vergognosi partoriti da un sistema di informazione superficiale, che può produrre fenomeni di violenza razzista “. Ma il disagio esiste e non si può far finta di non vederlo. Per questo Fini chiede di “evitare ogni equivoco buonismo” ed invita la politica e i media a far arrivare messaggi seri e responsabili: “La legalità non la si afferma gridando all’untore, creando barriere o fabbricando mostri per la platea dei media, ma con il ristabilimento della certezza della pena, la lotta al degrado sociale, il rilancio dell’autorità dello Stato. E passa anche per la riaffermazione dell’etica pubblica. Lo stile delle classi dirigenti deve tornare ad essere modello di comportamento sociale”. Il libro di Harja e Melis ha il merito di sfatare gli stereotipi più odiosi, conclude Fini, ricordando che la percentuale di cittadini romeni detenuti nelle carceri italiane sull’intera popolazione dei loro connazionali residenti in Italia, è appena dello 0,3%, una delle più basse in assoluto e lancia la sfida:”E’ proprio l’integrazione il grande obbiettivo strategico che un Paese come l’Italia non può permettersi di fallire. La sfida può essere vinta solo da una politica lungimirante e di alto profilo”.

Anche Giuliano Amato mette sul banco degli imputati politica e stampa che “enfatizzando le diversità come minaccia fanno un male gigantesco a Dio e agli uomini e rischiano di creare un solco incolmabile”. Il dottor Sottile spiega che in assenza di politiche attive di promozione della convivenza, la tendenza naturale dell’uomo porta al conflitto, perché “ognuno tende a essere diffidente nei confronti di chi arriva , ma politica, cultura, scuola e stampa, devono promuovere la capacità di capirsi”. Amato mette in guardia dalla retorica che spendiamo sui diritti umani : “Un numero piccolo di diritti spetta al cittadino, un numero ben maggiore di diritti spetta alla persona. Se per noi la persona è solo il cittadino allora i delinquenti siamo noi”.

Luigi Manconi elogia un libro importante per la sua capacità di introdurre normalità e quotidianità nella riflessione sulla comunità romena in Italia e ricorda come il popolo romeno “ha un malinconico destino, ha la sorte di svolgere un ruolo drammaticamente simbolico, fino ad assumere quella figura classica, antropologicamente fondata, del capro espiatorio”. Dopo l’omicidio di Giovanna Reggiani,(30 ottobre 2007) dice Manconi,”abbiamo potuto vedere che nel nostro paese il razzismo non è più un tabù. Da quella data, persino nella sfera politica e pubblica, ricorre l’equazione romeno uguale stupratore. Questa equazione si è diffusa in un comportamento sociale e si è sedimentata fino a riprodursi , assumendo la forza e la prepotenza dello stereotipo. Il chiacchiericcio da bar ha avuto cittadinanza nelle istituzioni politiche”. E analizza le responsabilità politiche di questa deriva :” Io fatico a dire che tutto ciò è stata colpa di una sola parte politica. La sinistra non è stata in grado di opporsi a questa caduta del tabù del razzismo. Questo libro esce oggi ma è come se fosse “un libro post –conclude -che viene dopo la grande conflittualità . Ma è importante perché dà una grande chance alla politica: la convivenza non è mai assenza di conflitto,ma la politica è lì per governare questi conflitti”.

La chiusura ad Aldo Di Biagio, deputato Pdl eletto all’estero, e figlio di immigrati, che sottolinea come la comunità romena rappresenti una grossa risorsa per il nostro sistema economico e produttivo. “Gli stereotipi-dice- sono il frutto di un’esperienza personale , spesso si basano su una percezione soggettiva che finisce poi per essere di massa”. Di Biagio richiama i politici a creare la cultura del “nuovo cittadino” e sottolinea come la “percezione di impunità, vera o presunta che sia, si basa sulle lacune normative del nostro Paese”. “La certezza della pena per tutti – conclude -deve essere un impegno al quale non possiamo venir meno”.

“Romeni. La minoranza decisiva per l’Italia di domani” un libro da cui emerge una critica forte ad ogni forma di razzismo e xenofobia. Un libro destinato a far riflettere e a far discutere. C. T.