di Rita Piccolini
Le bambine di oggi, almeno quelle del mondo occidentale, vorrebbero diventare da grandi giornaliste televisive. Verrebbe da commentare “beata innocenza!”. Ma il dato da dove emerge? All’inizio di quest’anno si è svolto un “referendum” a livello internazionale tra le mamme e le bambine possibili acquirenti della mitica Barbie. La domanda era relativa a quali professioni avrebbe dovuto ispirarsi il modello dell’ultima bambola, che sarà la novità del prossimo Natale. Il risultato della consultazione è stato reso noto alla Fiera Internazionale del Giocattolo di New York : la nuova bambola dovrà ispirarsi alle giornaliste televisive, secondo le bambine, e agli ingegneri informatici secondo il voto che ha incluso anche il parere delle mamme.
Il dato merita qualche considerazione. La prima sicuramente positiva: sono state scelte due professioni impegnative. Quindi non è da considerarsi così diffusa la convinzione secondo cui le bimbe di oggi vorrebbero essere necessariamente attrici e top model nel migliore dei casi, o veline e mogli di calciatori nel peggiore.(Ci si riferisce ovviamente soltanto allo stereotipo). Attraverso il referendum su Barbie le nostre piccole hanno messo in evidenza che nel loro immaginario ci sono professioni per le quali è necessario impegno, studio, sacrificio. Un bel passo avanti, non c’è che dire! Ma anche per queste carriere così “seriose” i produttori della bambola hanno immaginato l’immancabile tocco glamour. La Barbie ingegnere avrà vezzosissimi occhiali rosa e sarà dotata di bluetooth con auricolare per poter parlare al telefono mentre usa il computer. La giornalista televisiva avrà un microfono, una cartelletta e un completino rosa tono su tono. E qui la considerazione è più problematica e obbliga a riflettere sul modo di educare quelle che saranno le donne di domani. Intanto già nella scelta delle bambine viene premiata innanzi tutto l’immagine. Perché sognare di essere giornaliste televisive e non giornaliste “tout court”? O scrittrici, o filosofe, o manager? Forse perché il mondo in cui viviamo premia soprattutto l’immagine. Bisogna comparire per esserci, e comparire soprattutto sul piccolo schermo. Certo la responsabilità di questa scelta non è delle bambine, ma ancora una volta della società che abbiamo creato per loro, pronta a condizionare la loro vita con tutto ciò che è in prima battuta apparenza. E poi l’uso del rosa per sottolineare, la femminilità, (ma anche la presunta fragilità?) e una bella dose di frivolezza.
Viene in mente il libro di Loredana Lipperini, “Ancora dalla parte delle bambine”, con la bella introduzione di Elena Gianini Belotti, l’autrice che per prima negli anni ’70 mise in luce le insidie nell’educazione a cui le bambine sono sottoposte e che fanno apparire come scelte naturali, da grandi, quelli che sono invece comportamenti indotti. Le eroine dei fumetti le invitano a essere belle, ci spiega Loredana Lipperini, le riviste cosiddette femminili propongono test sentimentali e consigli su come truccarsi. Nelle pubblicità sono piccole cuoche per i loro pelouche, la moda le vuole in minigonna e in tanga. Persino alcune loro bambole sono “sexi”, come le Bratz.
Quasi nessuno impone più il grembiulino rosa alle bambine dell’asilo, ma in tutti i toni del rosa è dipinto il mondo di Barbie e delle sue numerose sorelle. Quando lo scorso anno, la mitica bambola amata da intere generazioni, ha compiuto 50 anni, molti commentatori hanno sottolineato che comunque il suo è un modello di donna “emancipata”, di donna che lavora, che è autonoma, che sovrastava l’immagine piuttosto insignificante dell’eterno fidanzato Ken (il passato è d’obbligo perché sembra che ora Barbie sia single). C’è del vero in queste affermazioni. Alla fine degli anni ’50 la bambola nacque dalla fantasia di una mamma americana che si rese conto che le figlie, giocando, riproponevano i comportamenti e i modi del mondo degli adulti. Quindi basta solo con bambolotti a cui dare il biberon e cullare e accudire. Certo forse è stato un passo avanti, ma la strada da percorrere è tuttavia ancora lunga. Non bisogna perdere di vista le bambine, perché è nell’infanzia che si forma “una certezza di subordine che persiste” e per farlo, afferma l’autrice ”occorre tornare negli stessi luoghi dove le bambine compiono ancora oggi il loro apprendistato al secondo sesso: la famiglia, la scuola, il mondo dei media, l’immaginario dei libri e dei cartoni”.
La curiosità. Esiste un sito sul web che si chiama Pinkstinks. Alcuni genitori inglesi hanno formato un’organizzazione a tutela dei figli per combattere quella che definiscono “la cultura del rosa”, che si basa solo sulla sola bellezza, per dare un’alternativa ai giovani e soprattutto alle ragazze, migliorando la stima di sé e la fiducia nelle proprie ambizioni. Per raggiungere il loro obiettivo hanno deciso di combattere gli stereotipi fin dalla primissima infanzia e superare la “pinkification” dei modelli e dei giocattoli offerti alle bambine.