di Alessandra D'Agostini
E’ la più grande riserva di acqua dolce del Nord Est del Brasile, attraversa 6 Stati per un totale di 2.800 chilometri. Il fiume Sao Francisco è fonte di vita per i 33 popoli afrodiscendenti “quimbolas” e per le comunità di pescatori che vivono delle sue risorse. Un progetto voluto dal governo Lula prevede la deviazione del corso del fiume di oltre 600 chilometri e la costruzione di due centrali idroelettriche, in un ecosistema molto delicato e già a rischio di desertificazione.
Contro questo megaprogetto di ingegneria idraulica è nato un movimento che riunisce le popolazioni indigene, scienziati, ambientalisti e organizzazioni sociali. La priorità è chiedere, attraverso una raccolta di firme, alternative più economiche e compatibili con l’ambiente per risolvere il problema della scarsità di acqua nella regione.
Il progetto di trasposizione, dal costo di 2.380 milioni di dollari, nasce a metà del secolo scorso, ma solo nel 1999 in seguito a una delle più gravi siccità nel Nord Est, viene indicato come l’unica strada percorribile per risolvere la crisi. Il fiume ha già subito una drastica riduzione della portata a causa della costruzione in passato di 7 centrali idroelettriche, 30 dighe di contenimento e un inquinamento incontrollato. Con la nuova opera si creerà una rete di canalizzazione, verso Nord e verso Est, per un totale di 2.200 chilometri, 2 dighe idroelettriche, 9 stazioni di pompaggio, 27 acquedotti, 8 tunnel e 35 dighe di contenimento e riserve di acqua. Secondo il governo la capacità massima di flusso sarà di 26,4 metri cubi di acqua al secondo che garantiranno fornitura idrica a 12 milioni di persone. Studi indipendenti dimostrano tuttavia che l’acqua del rio Sao Francisco non sarebbe sufficiente per nutrire la conca dei fiumi del Nord Est e che solo lo 0,28% della popolazione locale, che ha veramente bisogno di acqua, ne trarrebbe i benefici.
Le acque trasposte, afferma l’associazione Apoinme, saranno privatizzate e destinate all’industria pesante e alla produzione agricola estensiva per l’esportazione, a beneficio dei latifondisti e imprese multinazionali. Appena il 4% delle acque saranno destinate alle popolazioni locali. Altri forti elementi di contestazione riguardano il mancato coinvolgimento delle comunità indigene localizzate nell’area, presunte irregolarità commesse nella concessione delle licenze e l’inadeguatezza del progetto rispetto alla legislazione ambientale.
L’Agenzia nazionale delle Acque, organo del governo di Brasilia, ha studiato il potenziale idrico della regione e la possibilità di uso sostenibile. Piccoli bacini di contenimento dell’acqua dolce, pozzi artesiani, captazione dell’acqua piovana attraverso cisterne domestiche sono interventi che avrebbero un costo nettamente inferiore con benefici per una popolazione 4 volte superiore a quella prevista dal progetto.
Per gli indigeni l’impatto devastante della deviazione del fiume tocca anche la loro cultura millenaria. C’è una relazione spirituale con il fiume che, spiegano, contiene tutti gli elementi divini, miti e leggende in cui credono e che li guidano nella loro lotta.