Si respira aria di soddisfazione contenuta (per un verdetto alla fine condiviso), ma anche prostrazione per un dibattito davvero prolungato oltre la norma nella giuria del 63mo festival di Cannes.
Perfino il vitalissimo presidente Tim Burton, sotto la tenda dei consueti occhiali neri sembra aver poca voglia di parlare e dopo un po' sbotta tra il serio e il faceto: ''Abbiamo parlato davvero tantissimo in questi giorni. Dobbiamo proprio continuare anche ora?''.
Poi si riprende e spiega che vedeva per la prima volta il cinema della Palma d'Oro, Apichatpong Weerasethakul, ma che alcuni dei suoi compagni di viaggio erano più esperti di lui (Alberto Barbera e Emmanuel Carrere si iscrivono al partito dei sostenitori competenti) e che comunque e' stato colpito e affascinato dalla vitalita' del suo cinema. ''Anche perché - aggiunge - la Palma d'oro e' stato uno dei primi film che abbiamo visto, ma ci è rimasto profondamente impresso''.
Il più spiritoso nella conferenza stampa finale della giuria è lo scrittore francese Emmanuel Carrere che ammette: ''Se non avessimo l'obbligo della discrezione, sarebbe magnifico scrivere un romanzo su questi 12 giorni. Abbiamo vissuto tutti gli ingredienti di un intreccio inimitabile, meglio di un reality o di una soap-opera. Ci è mancato solo il cattivo, il settario, quello che rovina l'atmosfera, ma migliora il racconto''.
E ammette così, pur senza riconoscerlo, che le decisioni sono state faticose, spesso frutto di mediazioni ed equilibrismi. ''Perché abbiamo premiato Juliette Binoche? - dice ad esempio rispondendo sulla migliore attrice - Niente di misterioso. Alla fine della discussione abbiamo votato e lei è risultata vincente''.
Usa altrettanta diplomazia Alberto Barbera per raccontare del premio a Elio Germano (in condominio con Javier Bardem). ''E' stato facilissimo - dice - perché a tutti il tema e il contesto del film di Luchetti sono apparsi chiarissimi e l'interpretazione del protagonista quasi una sintesi ideale. Giovanna (Mezzogiorno) ed io abbiamo parlato per ultimi, confermando così un percorso che ci suggeriva il Presidente''. Il quale Burton aggiunge di suo: ''Quelle di Germano e Bardem erano due interpretazioni così intense e così diverse che, idealmente, si completano e permettono di segnalare due opere importanti''.
Mentre Giovanna Mezzogiorno sottolinea che ''il film di Luchetti è certamente italiano, ma non mi sembra connotabile come specialmente legato solo alla nostra realtà. La sua forza è nell'essere universale ed Elio è stato bravissimo a creare un ritratto che resta nella memoria''.
Nei ritagli di domande e risposte c'è l'orgogliosa rivendicazione di una giuria ''con chiare idee sulla politica'' da parte di Kate Beckinsale che rimarca la ''politicità'' di alcune scelte come ''La nostra vita'' o l'africano ''L'homme qui crie'' nonostante siano stati ignorate opere piu' esplicitamente legate ai temi d'attualita'; c'è il giurato francese Alexandre Desplat che parla di un ''verdetto equilibrato e attento capace di tener conto dei linguaggi più radicali e di quelli più popolari del cinema d'oggi''; c'è l'unanime e sincero ringraziamento di tutti a Tim Burton per il modo in cui ha condotto la giuria a decisioni non facili. E soprattutto c'è l'ispirata sintesi dello spagnolo Victor Erice: ''Le idee passano - dice - ma i film restano. Certamente non tutti e se questo verdetto non si farà ricordare per almeno una scelta proiettata nel tempo, ne chiediamo scusa fin d'ora. Ma è per l'appunto il tempo a fare giustizia delle impressioni e in questo senso ci siamo sforzati, fin dal primo giorno, di trovare un accordo onesto e sincero''.