Thailandia


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Una crisi sanguinosa che dura da 4 anni

Dal golpe del settembre 2006 alla resa delle camicie rosse

Ecco una cronologia della crisi politica in Thailandia, giunta alla sua giornata cruciale con l'intervento dell'esercito che ha portato alla resa dei leader delle camicie rosse. Da quando sono cominciati i recenti scontri con l'esercito, giovedì della scorsa settimana, il bilancio è di 41 morti, quasi 300 i feriti. Dall'inizio dell'occupazione del centro di Bangkok da parte delle camicie rosse, un mese e mezzo fa, il bilancio complessivo è di 71 morti e oltre 1.150 feriti.

19 SETTEMBRE 2006: Un golpe senza spargimento di sangue porta alla destituzione del premier Thaksin Shinawatra, premier e tycoon del mercato delle telecomunicazioni, che fugge all'estero.
DICEMBRE 2007: Nelle prime elezioni libere dopo il golpe, il Partito del Popolo, percepito come la reincarnazione del partito Thai Rak Tahi di Thaksin, ottiene la maggioranza dei voti.
SETTEMBRE 2008: Decretato lo stato di emergenza dopo scontri tra manifestanti governativi e dell'opposizione. Il premier in carica, Samak Sundaravej, viene destituito dalla Corte costituzionale per aver condotto due show televisivi di cucina. Nuovo premier è Somchai Wongsawat, cognato di Thaksin.
OTTOBRE 2008: Thaksin viene condannato in contumacia per conflitto di interessi e corruzione a due anni di carcere.
DICEMBRE 2008: La Corte costituzionale costringe il premier Somchai alle dimissioni per frode elettorale. Il leader dell'opposizione, Abhisit Vejjajiva, diventa primo ministro.
APRILE 2009: Le 'camicie rosse' fedeli a Thaksin fanno irruzione al vertice Asean che si svolge a Pattaya. Abhisit decreta lo stato di emergenza. A Bangkok gli scontri tra dimostranti e forze dell'ordine causano due morti e 120 feriti.
17 MARZO 2010: Le camicie rosse versano sangue davanti alla residenza del premier, alla sede del governo e all'ambasciata Usa.
3 APRILE: Inizia l'occupazione del quartiere finanziario (dal 12 marzo, le camicie rosse occupavano la parte storica della citta').
10 APRILE: Negli scontri nella capitale rimangono uccise almeno 26 persone, compresi quattro soldati.
FINE APRILE-INIZIO MAGGIO: Le trattative tra governo e camicie rosse si risolvono in un nulla di fatto.
13 MAGGIO: Nuovi scontri provocano un morto e 11 feriti: tra loro l'ex generale Khattiya Sawasdipol, uno dei leader più radicali delle "camicie rosse", colpito alla testa da un cecchino muore il 17 maggio in ospedale. Le ambasciate americana e britannica decidono di chiudere.
14-16 MAGGIO: Gli scontri tra manifestanti e militari causano almeno 25 morti e oltre 200 feriti. Le camicie rosse chiedono l'intervento del re e si dicono disponibili ad un nuovo negoziato, sotto l'egida Onu, condizionato al cessate il fuoco. Il governo respinge la proposta di una mediazione internazionale e intima ai dimostranti di arrendersi. Lo stato di emergenza viene esteso ad altre province, portando il totale a 22. Un nuovo ultimatum concede ai manifestanti 24 ore di tempo per lasciare il presidio nel centro della capitale.
17 MAGGIO: Il bilancio dei morti sale a 35 dopo ulteriori scontri nella notte. Muore l'ex generale Khattiya Sawasdipol. Almeno 5.000 camicie rosse, secondo la polizia, sfidano l'ordine di evacuazione rimanendo asserragliati nel presidio. Un leader dei manifestanti telefona al governo proponendo una tregua.
19 MAGGIO: Alle prime ore dell'alba, l'esercito fa irruzione nel presidio dei rossi. I leader si arrendono, invitando i dimostranti a fare lo stesso. Le violenze pero' si estendono ad altri punti della citta', almeno 15 edifici tra cui il secondo centro commerciale di tutto il Sudest Asiatico vengono dati alle fiamme. Il bilancio dell'operazione militare e' di sei morti, tra i quali il fotografo italiano Fabio Polenghi, e 58 feriti, tra i quali tre giornalisti stranieri.