di Carla Toffoletti“Don Vito. Le relazioni segrete tra Stato e mafia nel racconto di un testimone d’eccezione” di Massimo Ciancimino e Francesco La Licata.
Quarant’anni di abbracci mortali tra Cosa Nostra, politica, affari e servizi segreti. Un viaggio nella storia italiana più recente. Al centro della narrazione uno dei personaggi più discussi della vita pubblica siciliana e nazionale del secolo, don Vito da Corleone, raccontato dal penultimo dei suoi 5 figli, Massimo, quello che più gli è stato vicino.
“Su questo libro è stato steso un muro di silenzio. E’ la tecnica più collaudata oggi, per far sì che di una cosa non se ne parli. Si impedisce ai giornalisti di fare il loro lavoro”. Esordisce così Francesco La Licata, giornalista e coautore del libro “Don Vito”, presentato alla Federazione Nazionale della Stampa a Roma.
“La mia è stata un’operazione di giornalismo - spiega - contro gli sguardi scettici di chi mi stava attorno. Se raccogli la testimonianza di uno della società civile che rompe il tabù del silenzio in Sicilia non piace. Ho dovuto vincere la paura di affrontare per la prima volta una materia che sembra vecchia , ma che in realtà è nuova. Massimo è il traditore, tradisce la sua gente. L’operazione è stata ardua”.
La Licata racconta che Massimo Ciancimino lo conosceva da molto tempo, già da quando “ha avuto la triste sorte di diventare il segretario di suo padre”, ma prima di collaborare con lui alla stesura del testo ha posto la condizione che parlasse con i magistrati, cosa che Ciancimino junior ha fatto.
“Massimo viene spesso accusato di parlare a rate - spiega La Licata - ma è talmente tanta la mole che ha dentro che diventa difficile tradurla in un'unica trance. Il tesoro del padre, per quello processualmente dimostrato, è già sotto sequestro. Massimo non ha condanne gravi, 3 anni e quattro mesi per riciclaggio, la condanna per mafia è caduta. Il suo rapporto con la magistratura è chiaro e netto”.
E’ Giancarlo Di Cataldo, giudice istruttore, a squarciare il velo. “Noi italiani queste cose le sappiamo già dall’Unità d’Italia. Questo patto scellerato tra Stato e mafia comincia con la conquista della Sicilia e con lo sbarco dei Mille. Quando ho letto il libro ho pensato: questa è una storia che fa tremare i muri. Succederà il finimondo. Non è successo. La nostra convivenza democratica è in pericolo. Il volume d’affari della criminalità organizzata è pari all’intera ricchezza del mondo occidentale. Quando hai molti soldi smetti di sparare e le democrazie cominci a comprarle”.
A Dacia Maraini il compito di tracciare il volto umano della storia, di analizzare il rapporto tra il padre padrone e il figlio schiavizzato. “La profonda sincerità di Massimo Ciancimino deriva da questo rapporto con il padre - spiega -. Massimo ha subito la violenza e la prepotenza dell’uomo di potere, ma anche un certo amore che è quello che passa tra genitore e figlio, mentre la madre si chiude in un cattolicesimo rituale, scaramantico”. Fino a un certo punto, quando lo "schiavo invisibile" riesce a riprendere in mano la sua vita: "Massimoo merita la nostra stima e fiducia perché ha fatto un percorso culturale ed emotivo che non tutti hanno il coraggio di intraprendere- conclude Dacia Maraini -. Questo libro ci insegna molte cose terribili sul nostro Paese e anche sulla famiglia italiana".
Ma come si sta dentro questa storia che è familiare, ma anche sociale, di malavita? “Per capire come si sta dentro, bisogna capire se se ne è fuori. Io ancora non so se ne sono fuori”. Questa volta è Massimo Ciancimino a parlare e racconta che avrebbe dovuto scrivere questo libro col padre ma non c’è riuscito. Ricorda episodi salienti della sua vita, come quando il giorno del funerale del padre il signor Franco gli diede una busta con le condoglianze di Provenzano. Lo stesso giorno gli comunicarono l’iscrizione nel registro degli indagati.
“L’abbiamo fatto per tua garanzia” è la frase che ricorda, "così se ti interrogano puoi avvalerti della facoltà di non rispondere". "Io da questo mondo vorrei uscire, soprattutto per mio figlio - spiega- non so se ce la farò. Non lo dico per piangermi addosso, ma subisco una sorta di ergastolo mediatico del mio cognome. E’ come una sentenza passata in giudicato". Ha bisogno di essere creduto Ciancimino Junior e incalza: "Oggi il dibattito politico e sociale versa su altri fronti. Oggi bisogna capire perché Massimo Ciancimino parla e non perché tanta altra gente sta zitta. Io mi sono fatto 11 mesi di carcere preventivo, ho ammesso le mie colpe e ho cercato un contatto con i magistrati. Ma per scrivere questo libro ho dovuto lasciare la Sicilia. Tutti mi hanno sconsigliato di scriverlo ma io volevo lasciare a mio figlio l’eredità di un padre non mafioso”.
Perché non si è ribellato prima?
Non sono mai stato un eroe. Non sono mai stato Impastato. In casa mia non entrava solo Provenzano, ma anche il Questore, il Pretore, perfino il capo dei Vigili urbani. . Ribellarsi a chi? Qual’era l’istituzione che stava fuori da questo gioco? La mafia non è fatta da una sola persona ma da tante componenti”.
Ci sono altre cose che lei sa e che non ha detto?
Di cose che non ho scritto e non ho detto ce ne sono tante, anche su illustri personaggi,ma quando tocchi certi livelli, credetemi, molto elevati, bisogna riuscire a portare della documentazione cartacea a supporto. Il rischio se no è quello di lasciare a mio figlio l’eredità di un padre mitomane.
E le sue dichiarazioni sul Presidente del Consiglio?
Sulle mie dichiarazioni si è fatta molta confusione. Ho sentito mio padre in persona prendere le difese di Berlusconi e asserire che era la più grossa vittima della mafia Era il 22 luglio 1998, eravamo a Rebibbia e io feci vedere a papà il giornale che riportava le parole di Bossi secondo cui Berlusconi era un mafioso, venuto a Milano con i soldi di Cosa Nostra. Mio padre difese Berlusconi e lo fece anche in seguito. Io non ho mai detto che Berlusconi è un mafioso, ma ho parlato di soggetti molto vicini a lui, a conoscenza di situazioni antecedenti la sua discesa in campo, che si erano accreditati con forza alla sua corte per deciderne e condizionarne le scelte.
L’ultima volta che ha visto il signor Franco, il presunto uomo dei servizi segreti?
Nel 2006, davanti all’ambasciata della Santa Sede. Mi suggerì di allontanarmi dall’Italia. Pochi giorni dopo arrestarono Provenzano.
Ma lei sa chi è?
Con la magistratura ci stiamo lavorando. Di nomi ne sono stati fatti , ma ho sentito parlare di segreto di Stato e non è possibile nemmeno allegare certe foto ai verbali.
Qual è la sua posizione rispetto ai magistrati?
Il problema è proprio questo. Io non sono un pentito e in Italia la credibilità e il riscontro di quello che dici è commisurato alla gravità della colpa che hai commesso. Io sono una figura nuova. Mi hanno chiamato ‘collaborante’, ‘ dichiarante’. Io devo rendere molto più credibile quello che dico. Sono accusato di aver riciclato i soldi di mio padre, e l’accusa vale solo per me. Gli altri mie 4 fratelli non sapevano. Ma questa è un’altra storia.
Oggi la testimonianza di Massimo Ciancimino è sotto il vaglio di 5 Procure italiane. E’ stato condannato in primo grado a cinque anni e mezzo di carcere per aver riciclato il denaro del padre. In appello la pena è stata ridotta a tre anni e cinque mesi. Da circa un anno sta collaborando con la magistratura per aiutare a far luce sui segreti del padre e sui presunti rapporti tra mafia e politica in Sicilia.