di Sandro Calice VENDICAMI
di Johnnie To. Francia, Hong Kong 2009 (Fandango)
Johnny Hallyday, Sylvie Testud, Anthony Wong, Simon Yam, Lam Ka Tung, Lam Suet, Cheung Siu-Fai, Maggie Shiu, Felix Wong, Yuk Ng Sau, Vincent Sze.
“Un padre arriva a Hong Kong per vendicare la figlia, la cui famiglia è stata distrutta. Ufficialmente, è un cuoco francese. Vent’anni fa era un killer”. Splendida la sinossi originale, di orientale essenzialità. Non altrettanto il film.
Una donna occidentale (Testud) vive a Macao col marito orientale e i loro due figli. Una famiglia felice, fino al momento in cui tre killer irrompono in casa e sterminano tutti. La donna, che ha difeso fino all’ultimo i suoi figli, sopravvive miracolosamente. Non riesce nemmeno a parlare, e al padre (Hallyday), arrivato immediatamente dalla Francia, indicando le parole su un quotidiano dice una sola cosa: vendetta. L’uomo si chiama Costello, è solo in una città che non conosce e non capisce, sa di avere bisogno delle persone giuste e per caso le incontra e le assolda. Tre killer legati alla Triade che da quel momento in poi diventano i suoi samurai e fanno loro la sua vendetta. Devono fare in fretta, però. Prima che Costello dimentichi tutto.
Passato in concorso al Festival di Cannes 2009, “Vendicami”, prima produzione internazionale di Johnnie To, regista di Hong Kong amato dalla critica e da Tarantino, somiglia molto a un esercizio di stile in cui To si diverte a giocare con i registri del noir e del western (con più di qualche debito nei confronti del cinema di Sergio Leone). Il ruolo del protagonista avrebbe dovuto essere di Alain Delon, già Costello ne “Le Samourai” di Melville. Ma il vecchio Hallyday, con la sua faccia sbattuta da rocker di razza, la sguardo freddo ma liquido, la presenza imponente e caracollante, pur con qualche incertezza, è perfetto nella parte. Paradossalmente, la prima volta che il regista è stato costretto dalla produzione a mettere giù un’abbozzo di sceneggiatura, lui che gira “a memoria” lasciando spazio all’improvvisazione degli attori, il racconto presenta pause e lentezze che lo impoveriscono. Per il resto, è il cinema di To, cinetico, con un gusto compiaciuto per l’immagine e un uso spregiudicato della telecamera, tutto polvere, sangue, spari e improbabili traiettorie. Per appassionati.