di Federica Marino
Natura e Metafisica: una contraddizione in termini, se guardiamo all’etimologia, e un’interessante sfida estetica nella mostra che chiude a Roma le celebrazioni dechirichiane del 2008-2009 con un omaggio al movimento culturale metafisico, fondato proprio da Giorgio de Chirico nel 1910.
Dagli esordi simbolisti fino agli sviluppi neometafisici degli ultimi anni, la mostra affronta il modo in cui l’artista guarda alla Natura, attraverso 120 tele divise in sette sezioni. Laboratori didattici e Incontri metafisici tutti i mercoledì fino al 26 maggio completano la proposta espositiva, nell’ottica di una fruibilità a più livelli e multimediale. E’ cento anni fa che de Chirico, allora 22enne, dipinge L’enigma di un pomeriggio d’autunno, destinato a divenire il manifesto visivo della Metafisica.
Già il titolo è programmatico: un pomeriggio d’autunno è un dato oggettivo, fisico; come attribuirgli una qualche enigmaticità, se non attraverso il superamento della sua fisicità in una riflessione meta-fisica, oltre la sua natura oggettiva? La tela, del 1910, rappresenta piazza Santa Croce, a Firenze; un paesaggio ben noto al pittore, che di quel giorno ricorda: “Ebbi la strana impressione di guardare quelle cose per la prima volta, e la composizione del dipinto si rivelò all'occhio della mia mente. Ora, ogni volta che guardo questo quadro, rivedo ancora quel momento. Nondimeno il momento è un enigma per me, in quanto esso è inesplicabile. Mi piace anche chiamare enigma l'opera da esso derivata”. De Chirico (1888-1978) è figlio del suo tempo: persa la fiducia nel realismo, gli artisti cercano di superare la mera rappresentazione oggettiva, per dare voce ai paesaggi interiori. Lo avevano fatto gli Impressionisti, affidandosi alla Natura percepita attraverso la soggettività dei sensi e così dipinta; gli artisti del nuovo secolo incamerano la lezione e vanno oltre, re-inventando il soggetto a cercarne i significati nascosti. Simbolisti, surrealisti, metafisici sono accomunati dal nuovo sguardo sul reale, che prende forme diverse. Per i metafisici, il senso del reale viene “dopo” il reale stesso, e passa attraverso il superamento dell’oggettività. Come? Con uno sguardo che registra l’oggetto, riconoscendone l’ambivalenza: cosa del mondo e segnale di altro.
Imprescindibile, in questa operazione di “sorpasso”, il punto di partenza, ed è qui che emerge chiaramente il senso della mostra romana: non si può andare oltre la Natura, se non partendo da essa. In sette sezioni il concetto di Natura gioca con il linguaggio e le opere esposte. L’avvio è “classico”, nei dipinti raccolti in Natura del mito: i personaggi della mitologia greca o della Bibbia risalgono alla prima volta dell’Uomo separato dalla Natura, nel momento in cui cominciò a riflettere su sé e sul mondo, allontanandosene per guardarlo e comprenderlo. Le figure rappresentate -miti o simboli - sono le prime ad assumere una funzione culturale, facendosi strumenti di conoscenza e narrazione della Natura e non più suoi elementi. Smarrita la strada per l’Eden dopo il primo assaggio di sapere, la fonte della conoscenza diventa l’Uomo stesso, che trascende la Natura da cui si è staccato, nel primo moto metafisico della sua Storia. Lo spazio costruito è rappresentato nelle sezioni Natura dell’ombra e Natura da camera. Nella prima il paesaggio naturale e quello architettonico si confrontano e integrano: piazze nel deserto, dove la Natura sembra incombere nella sua assenza, portici che fanno da cornice al paesaggio e lo delimitano, aggiungendogli profondità. Anche una camera è un luogo architettonico, e qui più che altrove la Natura sembra bandita: ma basta portare fuori gli arredi per creare nuove stanze metafisiche, oltre la fisicità definita da una parete, o aprire la porta alla Natura e farla entrare in una casa. Il senso di assurdo è garantito e serve a spiccare il salto, dalla Fisica alla Metafisica, come quando in un videogioco si passa di livello. Nella sezione Anti-natura si assiste all’applicazione delle leggi metafisiche all’Uomo; via l’antropomorfismo, la figura umana perde d’identità e ne trova di nuove: manichino, automa, pensatore, in uno stato intermedio tra essere e oggetto, vivo o inerte. Impossibile, sembra suggerire de Chirico, pensarci naturali in una società ormai automatizzata. Una volta riportato tutto nella griglia metafisica, Uomo compreso, scatta la necessità di ricorrere a quello che de Chirico chiama alfabeto metafisico, i segni cui ricorrere per stabilire una nuova astronomia delle cose. Si tratta di una nuova cosmologia, in cui il vivente è rimpiazzato dalla realtà – inteso come “cosità”- Spazio e tempo diventano “scatole”, in altre parole contenitori delle cose che costituiscono il nuovo universo. E il nuovo mondo metafisico viene ricreato dall’inizio, da quegli elementi fondamentali che al tempo dell’Uomo erano Acqua, Aria, Fuoco e Terra. Ma nel mondo metafisico della sezione Natura aperta, gli elementi primordiali si ricombinano e trasformano: il Sole finisce su un cavalletto e on manca la sorpresa finale, anzi, La Surprise. In questa tela del 1914, per la prima volta in Italia, un quadro ne nasconde un altro, con un'immagine sottostante resa visibile solo in seguito a una radiografia. Il primo livello raffigura un paesaggio urbano e industriale, una ciminiera e colonne - Fuoco e Terra?- ma al di sotto si è scoperto un portico con una fontana al centro, a richiamare l’Acqua.
E’ come se l’artista facesse dialogare gli elementi, cambiandone l’ordine e i rapporti, alla ricercadi una nuova struttura del reale: metafisica, ça va sans dire. Natura viva, l’ultima sezione, sembra uno sguardo all’indietro, ma è ancora una volta un balzo metafisico. Superata la Natura, de Chirico sembra ripensarci, riflettendo sulla nostalgia che essa suscita, e scrive: il desiderio di essere vicino alla natura è evidentemente provocato nell'uomo da ricordi (...). Forse questi ricordi risalgono a quei tempi oscuri in cui l'uomo, quasi animale, era più felice nella sua vita primitiva, completamente legata alla natura. Oppure i suoi ricordi risalgono ancora più lontano e l'uomo rammenta oscuramente il Paradiso Terrestre, ch'egli ha perduto (...). O forse ancora il presentimento di un paradiso futuro spinge l'uomo verso la natura (...) che si presenta allo spirito dell'uomo, a traverso presentimenti o ricordi, buona, bella, perfetta, misericordiosa. Come recuperare quanto si è lasciato alle spalle? La soluzione sta nel ritrovare la vita interiore della Natura-cosa, attraverso la pittura della “vita silente”, contrapposta alla “natura morta”. L’artista ritrova e all’occorrenza crea una vita interna dell’oggetto, la potenzia attraverso l’arte e la offre a chi guarda, come un nuovo demiurgo per un mondo contemporaneo, altro da quello naturale, ma ugualmente vivo e forse accogliente per gli uomini nuovi. Una speranza nelle capacità dell’Uomo e della sua Arte, al termine di un viaggio in fondo alla Natura.