“Peggio degli animali. Perché si fanno campagne a difesa degli animali, contro la caccia agli animali, alle balene, e a noi invece si spara”. E’ racchiuso in queste parole il dramma, la ferita profonda subita dagli immigrati africani protagonisti e vittime della rivolta di Rosarno del gennaio scorso.
A raccontare la sua esperienza è un ragazzo della Guinea, di 28 anni, che ha preferito restare anonimo e che è più volte stato a Rosarno, dal 2007 fino ai mesi scorsi. Lo abbiamo incontrato nel centro sociale dell’ex Snia a Roma, in via Prenestina, dove ogni settimana gli immigrati cacciati da Rosarno si incontrano e hanno dato vita all’Alar, l’Assemblea dei Lavoratori Africani di Rosarno, che con il tempo si sta trasformando in un centro i formazione sui diritti.
“La prima difficoltà che incontriamo una volta arrivati in Italia riguarda i documenti”. Per la domanda di asilo passa del tempo e occorre avere dei legali che seguano la tua pratica. Nel frattempo, in attesa dei documenti, “dobbiamo pur mangiare e quindi anche se non ci piace l’idea di essere sfruttati, siamo costretti a lavorare in nero per pochi soldi”. Rosarno, come anche Foggia, Cassibile, Napoli sono località dove è possibile trovare lavoro senza avere i documenti, ci spiega il giovane africano. “La paga, per noi è al massimo di 25 euro al giorno, se si lavora a giornata, ma quando la campagna offre meno, c’è meno frutta da raccogliere, perché siamo alla seconda raccolta, allora ci pagano a cassetta, un euro a cassetta. Io non ho avuto esperienza con i caporali, ma molti miei amici sì”. Come siete stati accolti? “ In paese non ci vedevano di buon occhio, molti ragazzi ci insultavano, non potevamo entrare nei negozi quando indossavamo le scarpe da lavoro. Nel 2007, mi hanno sparato e ancora mi porto dietro i segni di quell’esperienza. La rivolta è nata dopo l’ennesima violenza contro di noi, non sono stati solo gli spari contro due immigrati, di episodi di violenza nei nostri confronti ce ne sono stati diversi”. Qual è la tua speranza oggi? “Mi auguro che gli italiani ci aiutino per la regolarizzazione. La nostra priorità sono i documenti, il permesso di soggiorno, perché come facciamo a vivere se non esistiamo”.
E’ lo stesso sogno di un altro ragazzo, un 20enne del Mali, avvilito per come vanno le cose. Anche lui ha lo stesso problema dei documenti:”Abbiamo fatto manifestazioni in prefettura, con il sindacato, ma le risposte non ci sono”, ci dice. Lui ha cercato lavoro a Cassibile, nel Siracusano, “ma per un nero non ce n’è. Lì ci sono i caporali, molti sono maghrebini, e il lavoro non si trova facilmente. Io non l’ho trovato e sono andato a Rosarno. Lì ci sono stato per sei mesi e ogni tanto trovavo da lavorare, per 20 euro al giorno, al massimo.”. Pensi di ritornarci? “No, non credo quello che ho lasciato a Rosarno è molto brutto”.
Ma sebbene lentamente, qualcosa si muove. L’Osservatorio della Rete Antirazzista romana ha promosso un appello: “La regolarizzazione prima di tutto, un’accoglienza adeguata e possibilità di lavoro dignitoso e tutelato, per impedire il ritorno nelle maglie della schiavitù silente”. E’ stato firmato da intellettuali, associazioni e realtà territoriali, che sono venuti in contatto con gli immigrati in questi mesi di mobilitazione romana. Nei giorni scorsi, tra le varie istituzioni interpellate, ha risposto la Provincia di Roma con un accordo stipulato con le associazioni agricole Col diretti, Confagricoltura, Fedagri, Cia e altre, per reinserire al lavoro gli africani vittime dello sfruttamento a Rosarno.
Le storie sono tante e si assomigliano tutte.
Kossi, ganese di 21 anni, sbarcato a Lampedusa nel 2008, è riuscito ad ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A Modena ha partecipato a un progetto Sprar ( sistema di protezione per richiedenti asilo ), ma non è riuscito a trovare lavoro. Così è finito prima a Castel Volturno e poi a Rosarno.Pur essendo regolare non è mai stato contrattualizzato. ” Nell’ ex-oleificio non c’era più posto, così dormivo nei silos ( cisterne di 30 metri con alla base un oblò largo un metro da cui gli immigrati entravano).Ogni giorno cercavo disperatamente un ingaggio sperando di portare a casa 20-25 euro per 12 ore di lavoro. Venivo pagato a fine giornata da intermediari stranieri Tutti i luoghi sono uguali per noi africani. E’ difficile trovare lavoro e nessuno ti mette in regola. Lo sfruttamento c’è in Sicilia, in Puglia, nel Casertano, ovunque. Siamo sempre lavoratori invisibili”.