La mostra “Moana - Casta Diva” di Gianfranco Salis da mercoledì 5 maggio arriva a Milano (fino al 5 giugno, galleria Dream Factory di corso Garibaldi). L’esposizione fotografica, curata da Valerio Dehò e realizzata in collaborazione con la galleria d’arte Contemporary Concept di Bologna, la viene proposta a Milano in una nuova versione dopo il successo bolognese e l’altrettanto fortunata esperienza di Treviso.
Ventidue fotografie, realizzate tra il 1988 e il 1989, ritraggono Moana Pozzi, riuscendo a esprimere non solo la soggettività di questo personaggio estremo e, per certi versi, tragico, ma anche il suo glamour e il suo carisma.
L’esposizione si propone di restituire la forza di un corpo, la forza estetica e sensuale di una donna bellissima, elegante, mai fuori luogo, che ha vissuto le proprie scelte rendendole pubbliche e che oggi, a quindici anni dalla propria morte, è diventata una figura “classica”, riconoscibile, del nostro tempo.
L'autore degli scatti, Gianfranco Salis, è romano ed è cresciuto sotto la guida di Tazio Secchiaroli. Non ancora ventenne Salis è fotografo al “Festival dei due mondi di Spoleto” e ritrae artisti come Mario Ceroli e William De Kooning e opere come l’Orlando Furioso di Luca Ronconi. Dai primi anni ’70 inizia a lavorare come con i più acclamati registi italiani, da Fellini e Bertolucci, a Squitieri, Monicelli, Ferreri, Loy, Scola, Risi, Zeffirelli. Dal 1979 è il fotografo di fiducia di Tinto Brass.
Parallelamente al cinema, inizia, a metà degli anni ’80, una serie di ritratti di donna grazie ai quali Giorgio Armani gli affida il compito di fotografare Laura Morante per il lancio mondiale del suo primo profumo femminile. Nel 1988 Salis, unico europeo nella sezione ritratto, vince con l’immagine di Marisa Berenson il “The professional photographer’s showcase” all’Epcot Center di Orlando - U.S.A. Il primo incontro con Moana avvenne nel 1988 a cui seguirono altre due sedute nel 1989. Il risultato finale furono ventidue fotografie in cui Moana appare al tempo stesso naturale e imperiosa. Dice una nota che accompagna le immagini: “Il mito di Moana, attraverso queste immagini, viene reso classico perché le inquadrature e i tagli la consegnano alla storia del cinema, a quel cinema a cui lei non ha mai appartenuto, che ha sempre vissuto con grande e coraggiosa marginalità, ma che era il suo panorama di vita ideale”. E’ vero e interessante è anche il procedimento lento, difficile e alchemico, che Salis adopera per colorare le immagini. In pratica si tratta di un processo in cui partendo dal bianco e nero, il colore viene aggiunto progressivamente prima di raggiungere il punctum desiderato. Il risultato è una fotografia cristallina, purissima, palpabile. La tecnica svolge qui un ruolo di grande importanza perché vi è una forma d’intervento sull’immagine in cui l’originale è come un punto di partenza da evolvere.
La mostra - sostiene il curatore Valerio Dehò – “va letta, quindi, non solo come un omaggio e un ricordo ad una grande bellezza, ma anche come la scoperta di un fotografo del cinema che nel suo mestiere ha saputo portare una carica di umanità e di verità che questi scatti restituiscono perfettamente”.