di Francesco Chyurlia
Il sedicesimo congresso della Cgil cade in un momento particolarmente delicato della realtà economica del nostro Paese. La crisi del 2009 (una delle più pesanti della storia italiana) ha avuto e continuerà ad avere conseguenze negative sul mondo del lavoro, ancora per diversi mesi. Il congresso, che inizia il 5 maggio a Rimini, come è di tradizione, potrà questa volta trarre linfa vitale dalla Festa del Lavoro del primo maggio, dedicata alla difesa dei diritti dei lavoratori precari, di coloro che vivono ai margini, degli stagionali, degli immigrati. Ma anche di coloro che il lavoro lo avevano e lo hanno perso o di coloro che rischiano di perderlo. Su quest’onda emotiva, Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, affronta questi due appuntamenti.
Epifani, qual è il messaggio che il congresso di Rimini vuole mandare ai lavoratori e alle aziende colpite da questo cataclisma di livello internazionale?
La nostra analisi parte dalla constatazione che nel nostro paese manchi ancora un'idea su quello che è necessario fare per affrontare la crisi, una proposta programmatica per superarla o meglio, per superarne i gravissimi effetti sull’occupazione. Temiamo che, nei prossimi due anni, una eventuale ripresa economica possa avere luogo senza un’analoga ripresa del lavoro. Per questo la Cgil intende indicare l’urgenza di interventi che abbiano al centro il superamento della crisi e, con il congresso, metterà a fuoco una proposta programmatica sui temi del lavoro e dell’occupazione.
La crisi fa vacillare le certezze e si fa più difficile la tutela dei diritti…
Infatti, altro punto su cui concentriamo l’attenzione è l’attacco ai diritti dei lavoratori e la progressiva diminuzione delle tutele, una scelta particolarmente grave in una fase così difficile per i lavoratori. Parleremo poi di Mezzogiorno, scuola, sanità, riforme, del grande tema dei migranti perché, come sempre, la Cgil ha l’ambizione di rivolgersi a tutto il paese: vogliamo proporre un progetto che lo aiuti a uscire della crisi indicando alcuni punti su cui le scelte di governo, imprese e istituzioni dovrebbero orientarsi.
Chi ha pagato di più il costo della crisi? E' possibile quantificare i lavoratori che hanno perso il lavoro e quanti rischiano ancora di perderlo?
Certamente sono stati i lavoratori precari i primi ad essere stati espulsi dal lavoro, per di più senza tutele. Poi gli effetti della crisi hanno investito i tantissimi lavoratori di intere filiere produttive, soprattutto nel settore metalmeccanico. Dall’auto alla siderurgia, dal settore degli elettrodomestici a quello del legno e delle costruzioni, i comparti produttivi sono stati tutti più o meno investiti dal ciclone che ha messo a terra centinaia di aziende di ogni dimensione e l’effetto non ha poi tardato, naturalmente, a riflettersi sui settori dei servizi, a cominciare dal commercio.
Un po’ di cifre?
E’ Confindustria a dirci che tra dicembre 2008 e febbraio 2010 sono stati persi oltre 400.000 posti di lavoro. A questi dati dobbiamo aggiungere oltre un milione e mezzo di lavoratori in cassa integrazione: calcolando anche i nuovi lavoratori inattivi che nemmeno cercano più un lavoro il tasso disoccupazione supera l’11%.
La crisi, quella più pesante, è alle spalle o ci possono essere pericolosi colpi di coda?
Se guardiamo ad una prospettiva internazionale la vicenda della Goldman Sachs o le difficoltà della Grecia rappresentano segnali che non lasciano del tutto tranquilli sul fatto di avere la crisi finanziaria alle spalle. Avvertimenti in questo senso arrivano da molti soggetti, a cominciare dal nostro ministro dell’Economia e i colpi di coda quindi non possono essere del tutto esclusi. Ma anche se la crisi finanziaria fosse alle spalle gli effetti sull’economia reale e soprattutto sull’occupazione saranno ancora lunghi e pesanti. Non si può pensare che usciremo dalla crisi così come ci siamo entrati: qualcosa sarà cambiato definitivamente. Per questo insisto sulla necessità di avere una strategia di uscita da questa fase, un’idea complessiva di quale paese vogliamo.
Ci sono azioni urgenti e concrete che lei ritiene prioritarie?
Lo abbiamo detto più volte e il congresso sarà un’occasione per ribadirlo: è necessario intervenire subito sul terreno fiscale, restituendo ai lavoratori dipendenti, con un bonus, quanto perso per effetto del drenaggio fiscale e intervenendo sulle aliquote. Bisogna rafforzare e prolungare gli ammortizzatori sociali (e poi pensare seriamente a riformarli), individuare una serie di investimenti prioritari, allentare il patto di stabilità con gli enti locali per consentire interventi di manutenzione del territorio.
La Cgil è il più grande e sindacato italiano: è cambiato negli anni il suo ruolo?
Non sono cambiati i nostri valori e l’idea di fondo che ci impegna a tutelare e difendere diritti dei lavoratori che consideriamo universali e che, tra l’altro, costituiscono anche il tessuto connettivo della nostra Costituzione. In questo senso possono cambiare, nel tempo, gli strumenti per esercitare questo compito ma non il principio di fondo. Non condivido, infatti, l’idea che da qualche tempo vedo circolare: l’dea di un sindacato che sempre più si occupa di gestire servizi invece di contrattare condizioni di lavoro (a livello di azienda, di categoria o di territorio) per la gente che rappresenta. La Cgil resta saldamente ancorata a questi principi.
Crede ancora nella concertazione, anche alla luce di contratti e accordi siglati solo da Cisl e Uil con le controparti?
Come dicevo il sindacato è un soggetto che contratta per sua natura. L’obiettivo è quello di tutelare lavoratori e pensionati e operare per ottenere le condizioni migliori: di volta in volta lo farà con lo strumento della concertazione, con il conflitto, avviando pazienti campagne culturali, ma la contrattazione è nel suo dna. Per questo lavoriamo pazientemente per tornare ad avere un modello contrattuale condivisibile, una volta finita la fase di sperimentazione di quello approvato senza la nostra firma. Su questo terreno non ci stancheremo di rivolgerci a Cisl e Uil, mentre invitiamo il governo (o ad alcune sue componenti) a non insistere nel tentativo di dividerci e contrapporci.
Che cosa allontana la Cgil da Cisl e Uil?
Da Cisl e Uil, in questa fase, ci separano molte cose e non si può dire certo che lo scenario dell’unità sindacale sia in questa fase all’orizzonte. Ma ci sono temi che possono vederci uniti: penso, per esempio, alla questione fiscale che è una battaglia che potremmo combattere insieme visto che le valutazioni di fondo non sono diverse fra noi, o il tema dell’immigrazione sul quale, tra l’altro, celebreremo insieme il primo maggio. Per ora possiamo ripartire da lì.
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