Contro i malviventi è guerra di logoramento

Da Rockerduck a Benjamin: le operazioni della Guardia di Finanza

“Rockerduck”
La maggior parte delle stamperie clandestine di banconote in euro individuate negli ultimi anni si trova in Campania, zona “di elezione” per via della precedente esperienza maturata ai tempi della lira, ma anche per le attrezzature tecnologiche avanzate in grado di riprodurre in particolare gli elementi di sicurezza dei biglietti. I falsari attuano la logica del massimo profitto. La perfezione assoluta non è ricercata volutamente in considerazione anche del suo elevato costo. E’ giudicato sufficiente riprodurre banconote che siano simili agli originali quanto basta per essere confuse dall’utente distratto o che non ha il tempo di controllare alcuni elementi che qualificano con certezza la banconota autentica. Nel caso di una delle scoperte più recenti nel Napoletano, ad esempio, in tutte le banconote prodotte si ripetevano costantemente gli stessi numeri di serie! Per realizzare i biglietti falsi, il tipografo aveva acquisito, per mezzo di uno scanner ad alta risoluzione, le immagini delle banconote originali. Il successivo uso di un software garantiva la selezione delle porzioni di immagini con le medesime tonalità di colore che erano trasferite su pellicola tramite un computer collegato alla stampante

“La banda degli onesti”
L’operazione della Guardia di Finanza di Arezzo del febbraio 2009 ha portato al sequestro di una vera e propria zecca clandestina dove due fratelli, tratti poi in arresto, sarebbero riusciti a produrre un ingente quantitativo di sterline inglesi. Oltre alle presse, vennero sequestrati gli stampi, le trance ed i conii espressamente autoprodotti sulla base di precisi disegni e progetti, anche questi trovati in possesso degli arrestati. I punzoni erano realizzati con una grande cura ed erano del tutto idonei a riprodurre monete indistinguibili dagli originali. I falsari avevano previsto di realizzare inizialmente la moneta da un pound e successivamente anche quella da due pound che si distingue per l’anello esterno di colore diverso. L’organizzazione si era preoccupata di ordinare circa 3.000 chili di leghe metalliche, di composizione specifica, secondo le percentuali in cui sono realizzate le sterline originali. Dal quantitativo di metallo ordinato, considerato il peso specifico di una singola moneta, sarebbe stato possibile coniare, quantomeno in prima battuta, circa 320.000 esemplari da una sterlina, equivalenti, al cambio attuale, a circa 350 mila euro. 

“Golden Mexico”
Una delle più recenti operazioni della Guardia di Finanza ha portato all’individuazione di un’attività di falsificazione di moneta metallica a danno del collezionismo numismatico. La produzione di moneta metallica falsa prevede la realizzazione di matrici, a cura del’incisore, da cui ricavare i relativi conii per la stampa. Il metallo utilizzato per i tondelli da coniare non è mai conforme a quello impiegato nella produzione ufficiale a garanzia del margine di guadagno per il falsario. Tra gli esemplari falsificati ricorrono le emissioni più ricercate dal mondo del collezionismo e la loro riproduzione, pur molto simile all’originale, presenta sempre differenze di peso e di dimensioni: Ma si riesce comunque ad ingannare un pubblico di collezionisti non esperti. 

“Fish & Chips”
Negli ultimi decenni del secolo scorso è stata aperta una nuova frontiera del crimine legata allo sviluppo e alla diffusione delle carte di pagamento che utilizzano la banda magnetica in cui sono conservate tutte le informazioni necessarie per concludere la transazione elettronica. Alla figura del falsario si è affiancata, dunque, la nuova figura del “clonatore”, un ladro digitale specializzato nel furto di dati e di informazioni. Negli anni tra il 2005 e il 2007 il Nulceo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza ha portato a termine alcune operazioni che hanno consentito di stroncare l’attività di bande specializzate nella riproduzione di carte di pagamento. Il programma delle bande prevedeva la scelta di centri commerciali, distributori stradali di carburante o supermercati dove un elevato afflusso di persone e il notevole utilizzo delle mezzi di pagamento alternativi al denaro contante potesse garantire un notevole guadagno. In queste strutture erano installati i microchip nei terminali POS (soprattutto quelli di prima generazione particolamente vulnerabili) necessari per carpire i codici segreti delle carte. L’evoluzione delle tecniche ha consentito anche l’impiego di moduli di trasmissione a distanza su rete GSM dei dati trafugati oppure, per garantirsi la non rintracciabilità, l’uso della tecnologia Bluetooth facilmente reperibile in periferiche di uso comune (dal personal computer al telefono cellulare) per poterli lavorare direttamente nel laboratorio dell’organizzazione criminale. Anche gli sportelli bancari sono stati presi di mira per ottenere le stesse informazioni. Su di essi venivano applicati pannelli imitanti quelli originali che celavano al loro interno componenti elettronici in grado di leggere i codici delle carte che venivano inserite dagli ignari clienti. In altri casi si è ricorso a finte rifiniture degli sportelli originali che mascheravano delle microcamere in grado di filmare il momento in cui il codice Pin veniva digitato sulla tastiera. 

“Franklin”
Il dollaro americano è una delle valute più imitate dai falsari perché è la più diffusa nel mondo, ma anche perché la falsificazione delle banconote straniere, piuttosto che locali, agevola la seconda fase dell’attività illecita, quella dello “spaccio”. L’introduzione nel circuito economico-finanziario nazionale di banconote straniere contraffatte, infatti, può risultare più agevole per i falsari, che possono confidare in un minor grado di esperienza degli operatori commerciali o bancari nel riconoscerne la non autenticità, nonché nella carenza di strumenti elettronici specificamente predisposti per il controllo di valute diverse dall’euro. La conferma viene anche da recenti riscontri operativi dell’attività della Guardia di Finanza, come quando, verso la fine dell’anno 2007, il Nucleo di polizia tributaria di Perugia riuscì a risalire ad un cospicuo versamento di banconote del taglio di 100 dollari statunitensi presso un istituto bancario del capoluogo umbro. Acquisita la relativa documentazione, si scoprì che il versamento era stato effettuato da un insospettabile professionista e da un commerciante di automobili, che avevano concluso diverse operazioni di cambio valuta. I funzionari dello United States Secret Service, tempestivamente attivati per la migliore riuscita dell’indagine, nel certificare la falsità delle banconote ne hanno sottolineato l’eccezionale fattura, tale da rendere difficilissimo il riconoscimento ad occhio nudo e consentire addirittura il superamento dei controlli con gli appositi macchinari presenti nel nostro Paese, essendo state stampate con inchiostro magnetico. L’operazione portò al sequestro di ben 94.900 dollari statunitensi nonché all’arresto dei due responsabili. Non c’è che dire: i falsari italiani avevano mostrato al mondo la loro “professionalità”. Ma non fu loro sufficiente a farla franca... 

“Benjamin: la stanza del falsario”
Un’altra recente operazione GdF ha permesso di individuare una stamperia clandestina di dollari falsi che provvedeva all’intera operazione, dalla fabbricazione dei fogli di carta alla stampa delle banconote. La maggiore difficoltà nella riproduzione di una banconota consiste nella imitazione degli elementi di sicurezza, alcuni dei quali sono immediatamente evidenti al vasto pubblico ed altri sono individuabili solo con l’esame al microscopio o con speciali apparecchiature. La carta usata era ricavata dalla lavorazione di cotone semilavorato mescolato con altro cotone a fibra corta reperibile in commercio sotto forma di fogli. L’impasto, miscelato con altri additivi, veniva fatto scolare dalla formetta in modo che le fibre si depositassero con regolarita a formare il foglio. In questa fase era inserito il filo di sicurezza posizionato per mezzo di un telaio metallico. La filigrana, acquisita prima l’immagine originale su pellicola e trasferita poi con un calco a rilievo e controstampo in piombo fino ad essere impressa per schiacciamento su una tela filigranatrice, si otteneva per un diverso modo di deposito delle fibre negli avvallamenti della tela con un maggior spessore della carta per un effetto di un colore più scuro dei bordi del disegno, se visto in controluce. I fogli, appena formati, erano quindi asciugati in maniera uniforme con due presse aspiranti per essere pronti per la stampa. La stampa del biglietto americano richiedeva l’acquisizione dell’immagine di una banconota autentica e il suo trasferimento su pellicola da cui ricavare, tramite incisioni fotochimiche per mezzo di un bromografo, le lastre calcografiche di alluminio. La stampa vera e propria era ottenuta con un torchio calcografico e completata con l’inserimento del numero di serie, del contrassegno del Tesoro e del logo della Federal Reserve. L’organizzazione disponeva anche di inchiostri otticamente variabili, considerati tra gli elementi di sicurezza più validi per la difficoltà di imitazione.

Nella foto il generale Fabrizio Cuneo, Comandante GdF Regione Umbria