Sei falsario? Ti metto all’inferno

Il tarocco accomuna Egizi, Romani e Greci banca_romana_296

Il falso monetale è vecchio quanto la moneta. Monete greche furono realizzate nel V secolo a.C. allo scopo di truffare la circolazione, con tondelli in rame rivestiti con una lamina in argento (monete suberate), false rispetto alle monete originali coniate interamente in argento. Un tesoretto di monete romane (denari) di età repubblicana rinvenuto nel 1933 a Lucoli (L’Aquila) era composto da 179 esemplari quasi completamente realizzati con una lega di bronzo ad alto tenore di stagno con un effetto finale molto simile all’argento a differenza dei pezzi genuini realizzati in argento con alta percentuale di fino. L’analisi del metallo dei denari del tesoretto ha mostrato come queste monete siano state fuse, non coniate, con l’impiego di matrici fittili bivalvi ottenute dalle impronte di denari autentici. Dopo la fusione le monete ottenute sono state pulite da imperfezioni e molate a mano libera, forse anche allo scopo di “invecchiarle” conferendo loro tracce di usura. Falsi d’epoca sono noti anche tra i tarì e gli augustali emessi da Ruggero II (1105-1154) e Federico II (1197- 1250) e tra i fiorini d’oro di Firenze nel 13.mo secolo ottenuti mediante doratura di tondelli di rame (amalgama di mercurio ed oro passato a fuoco con volatilizzazione del mercurio e fissaggio dell’oro sul tondello di puro rame) oppure con applicazione di una foglia d’oro (sul tondello in precedenza trattato con mercurio, con conseguente volatilizzazione del mercurio al fuoco). L’utilizzo di leghe composte di metallo prezioso (oro e argento) e di metalli meno nobili (rame, stagno, piombo) allo scopo di predisporre i tondelli per le falsificazioni prevede una notevole capacità di lavorare i metalli. E questo fa pensare che nelle operazioni fossero coinvolte in pieno la categoria degli zecchieri- monetieri e quella dei metallurgi.

La moneta imitata
Nel mondo antico, medievale e moderno il commercio “internazionale“ ha spesso manifestato le proprie preferenze verso alcune valute che assumono una posizione di privilegio quasi con valore di ‘moneta internazionale’, con notevoli ritorni economici nei confronti della città o dello Stato emittente. Altre città e Stati, per sfruttare la notorietà di quelle divise, decidevano di coniare una moneta simile imitandone il taglio, il metallo e perfino le tipologie. Dall’imitazione alla contraffazione il passo è breve e in taluni casi, per garantirsi maggiori profitti, la città o lo Stato che già ricorreva all’imitazione giungeva ad alterare la purezza o la lega del metallo al pari dei falsari. Occorre dunque distinguere la semplice imitazione, operazione di fatto ritenuta non illegale almeno fino al ‘600, dall’alterazione della lega e del peso che, danneggiando la credibilità della buona moneta, costringeva le autorità ad emettere provvedimenti di ritiro dalla circolazione di tutte le monete imitate per eliminare quelle cattive. Il fenomeno è nato nel IV secolo a.C. e si è protratto praticamente fino alla seconda guerra mondiale.

Dante mette i falsari all’Inferno
In età bizantina qualsiasi falsificazione o alterazione della moneta contrassegnata dall’effige imperiale era considerata un crimine di lesa maestà e punita con la morte, pena confermata nelle legislazioni successive. Maestro Adamo, zecchiere, ricordato da Dante nella Divina Commedia quale falsario di monete, aveva prodotto, in un castello del Casentino presso i conti di Romena, fiorini d’oro di Firenze con tipi identici (“falsai la lega suggellata dal Batista”- Inferno, canto XXX), ma non in oro puro da 24 carati come nell’originale bensì con “tre carati di mondiglia” ovvero di rame. Nel 1281, scoperta la frode, il responsabile fu preso e condannato al rogo. La pena più mite è quella proposta dall’anonimo del De rebus bellicis, della metà del IV secolo, che consigliava all’imperatore di deportare i falsari in un’isola deserta dove avrebbero potuto produrre moneta senza provocare danni per la collettività. Le altre pene vanno dal taglio della mano nella legge longobarda e carolingia derivata da quella bizantina, alla scomunica prevista nel primo Concilio lateranense del 1123 ed estesa anche agli spacciatori oltre che ai materiali esecutori, alla decapitazione con esposizione al pubblico della testa e del corpo per uno zecchiere falsario di Chambery nel 1405. La gravità della pena è decisa anche in relazione al fatto che i falsari e i loro committenti dovevano normalmente appartenere ad un livello sociale piuttosto alto, il che permetteva loro di spacciare la moneta falsa. Sono infatti numerosi i casi di rinvenimento di tracce di officine di falsari all’interno di castelli o di dimore signorili. Per garantirsi maggiori guadagni, i falsari dovevano intervenire su tipologie ampiamente circolanti ed accettate dai mercati, modificando il contenuto di fino per quanto riguarda le monete in oro e in argento, ma anche producendo dapprima i tondelli in metallo vile da ricoprire successivamente con dorature o argentature. I procedimenti di doratura ed argentatura sono ampiamente noti e i risultati si diversificano quanto ad omogeneità e compattezza della copertura anche in relazione alla quantità e alla qualità del metallo nobile usato e all’abilità dell’esecutore. La produzione di falsi non diminuì con l’introduzione dei nuovi sistemi di produzione delle monete con la coniazione a macchina, né con la conferma delle gravi pene previste per i responsabili. Inutili si sono rivelati anche gli editti che proibivano a tutti, “medagliari” compresi, di possedere torchi e bilancieri per la fabbricazione non autorizzata di monete. La produzione monetaria dell’Ottocento e del Novecento è accompagnata da una parallela e consistente riproduzione, non di rado di buona qualità, degli originali esemplari in argento in metalli diversi, dal bronzo allo stagno o antimonio argentati oppure in alpacca.

I biglietti preunitari e i biglietti di Stato
Prima dell’Istituzione della Banca d’Italia, nel 1893, nel neonato Regno d’Italia vi erano sei diverse banche che conservavano la facoltà di emettere biglietti di banca intitolati al Regno d’Italia: la Banca Nazionale del Regno d’Italia (erede della Banca Nazionale degli Stati Sardi), la Banca Romana (erede della Banca degli Stati Pontifici), la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di Credito, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Sono istituti molto diversi tra loro per la disparità di distribuzione territoriale degli sportelli, per la tipologia e la solidità del capitale proprio, per i mezzi di pagamento utilizzati che variavano dalle banconote a taglio fisso (al portatore e a vista) alla fedi di credito nominative e a taglio variabile. Era necessario provvedere a creare un unico istituto di emissione nazionale al pari di quanto accadeva già da tempo nel contesto europeo. Nel 1866 un decreto impose lo status di moneta legale in tutto il territorio solo ai biglietti emessi dalla Banca Nazionale del Regno d’Italia; le banconote delle altre banche avevano corso legale locale con possibilità di conversione in biglietti della Banca Nazionale o in moneta d’oro. La banconota di Stato è un biglietto fatto stampare direttamente dallo Stato tramite la propria zecca e non da una banca centrale. I Buoni di Cassa e i Biglietti di Stato con valore nominale normalmente più basso di quello dei biglietti di banca, pur avendo il normale corso legale, furono stampati su ordine del Ministero del Tesoro per limitare la circolazione della moneta metallica sostituendola con quella cartacea.

Lo scandalo della Banca Romana
La Banca Romana, diretta erede della Banca degli Stati Pontifici, che, dopo il 1870, si era affiancata agli altri cinque Istituti italiani (Banca Nazionale del Regno d’Italia, la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di Credito, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia) autorizzati a produrre moneta cartacea, venne coinvolta a partire dal 1889 in uno scandalo finanziario con alcuni settori della sinistra politica italiana accusati di collusione negli affari illeciti della stessa banca. In quegli anni alcune banche italiane si erano esposte a grossi rischi concedendo prestiti a lungo termine in particolare in settori dell’industria edilizia molto impegnata in costruzioni e ricostruzioni sia a Roma, per il trasferimento della capitale, sia a Napoli, per il risanamento di alcuni quartieri dopo la peste del 1884. Gli investimenti si rivelarono fallimentari e crollarono il Banco di Sconto e Sete, la Banca Tiberina, il Credito Mobiliare, la Banca Generale. Per coprire le gravi perdite, la Banca Romana non solo produsse nuove banconote senza autorizzazione, ma anche due serie di biglietti con lo stesso numero, raddoppiando di fatto l’emissione di moneta in circolazione. L’inchiesta iniziata nel giugno del 1889 riscontrò le irregolarità commesse dai vertici della Banca con l’appoggio di alcuni parlamentari, ma il Governo impedì nel 1891 che i risultati della prima ispezione fossero resi noti al Senato. La Banca Romana, a fronte dei 60 milioni di lire autorizzati (per cui possedeva adeguate riserve auree), aveva emesso biglietti per un totale di 113 milioni, di cui 40 milioni in serie doppia. Solo dopo l’indagine del Primo Presidente della Corte dei Conti, Enrico Martuscelli, nel 1893, che confermò i risultati della prima inchiesta, vi furono i primi arresti (il governatore e il direttore della Banca Romana, Bernardo Tanlongo e Cesare Lazzaroni) e le prime ammissioni di colpa. Cospicue somme erano state pagate, secondo Tanlongo, anche ad alcuni presidenti del Consiglio dei Ministri, tra cui Giovanni Giolitti e Francesco Crispi. Nelle conclusioni di una terza indagine parlamentare, presentate nel novembre 1893, i parlamentari beneficiari dei prestiti erano diventati ventidue. Il processo si concluse nel luglio 1894 con l’assoluzione per tutti gli imputati, ma i giudici, nella sentenza, denunciarono chiaramente la sparizione di importanti documenti che avrebbero provato la colpevolezza degli stessi. Una delle conseguenze dello scandalo fu il riordino del sistema creditizio e la nascita della Banca d’Italia. L’emissione di moneta rimase competenza di soli tre istituti: la Banca d’Italia, in posizione primaria, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Questi ultimi furono privati definitivamente di tale facoltà nel 1926.

La “Mano Nera”
La “Mano Nera” rappresentò un sodalizio criminale, costituito da bande indipendenti formate in genere da immigrati italiani ed in particolare da siciliani, che prese piede negli Stati Uniti nei primi anni del ‘900. La principale attività, che farebbe accostare quei gruppi di malavitosi alla camorra piuttosto che alla mafia, era legata all’estorsione rivolta principalmente agli strati più deboli della popolazione.L’ipotesi, però, che il substrato della mafia siciliana potesse aver contribuito alla nascita del fenomeno spinse nel 1908 il capo della polizia di New York, Theodore  Bingham, ad effettuare un’indagine più approfondita. Per raccogliere informazioni sulle fedine penali di alcuni personaggi, venne inviato in Italia il tenente di polizia Joe Petrosino, persecutore di molti membri della Mano Nera. L’inchiesta che doveva rimanere segreta fu presto pubblicizzata dai giornali e questo costò la vita all’eroico tenente ucciso a Palermo. In quegli stessi anni, un tipografo calabrese, Antonio Comito, emigrò negli Stati Uniti in cerca di fortuna e lavoro. Fu impiegato presso una tipografia clandestina ove, assieme al connazionale Giuseppe Cavicchio, si adoperò per la stampa di dollari canadesi ed americani. Tutta l’attività nascosta è raccontata da lui stesso in una sorta di diario in cui racconta le vicissitudini del suo lavoro, con citazione di fatti e personaggi legati alla contraffazione delle banconote. Nelle pagine del diario del falsario è possibile leggere dell’assassinio di Joe Petrosino e dei suoi mandanti, Giuseppe Morello e Ignazio Lupo, capi della “Mano Nera”, che sovrintendevano all’operazione di falsificazione delle banconote da 2 e 5 dollari americani. Una volta scoperti, le testimonianze del Comito e del Cavicchio furono determinanti per  sgominare l’intera organizzazione.

Le banconote della Banca d’Italia
La Banca d’Italia fu istituita nel 1893 e fu autorizzata ad emettere, insieme con il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia, biglietti nei tagli da 50,100, 500 e 1.000 lire. La prima serie fu stampata nell’Officina di via dei Serpenti a Roma con due colori tipografici su entrambi i lati; la carta filigranata era prodotta dalle cartiere Miliani di Fabriano. Ben presto fu evidente che sia il disegno che la combinazione dei colori non opponevano vere difficoltà al lavoro dei falsari. Già la seconda serie fu stampata con quattro colori tipografici per ciascun lato e doppia calcografia su carta filigranata di ramié prodotta dalla Cartiera della Banca. Durante la fase di ricostruzione degli impianti e dei macchinari danneggiati nella Seconda Guerra Mondiale, la serie di banconote del 1944 fu affidata a ditte esterne, tra cui la tipografia Staderini e l’Istituto Poligrafico dello Stato. Raggiunta la piena autonomia produttiva, il lavoro dell’Officina Carte Valori della Banca d’Italia, trasferita nella nuovo stabilimento di via Tuscolana, venne esaltato dalla migliore qualità della stampa ottenuta con le nuove macchine calcografiche e offset a secco. Una serie di elementi innovativi (i codici a barre filigranate e i fili di sicurezza magnetici) furono introdotti nella lotta contro i falsari con il biglietto da 1.000 lire tipo 1982, impresso su entrambi i lati con una combinazione di stampa offset a secco e a umido. Il risultato fu lusinghiero per l’assenza di falsificazioni accertate almeno fino alla fine degli anni ’80. Tra le caratteristiche ottiche di sicurezza, l’uso della carta non sbiancata artificialmente ha permesso che le banconote sotto la luce ultravioletta restassero opache tranne che nei punti ove sono inserite speciali fibre luminescenti reattive a questo tipo di luce. Le carte commerciali utilizzate normalmente dai falsari danno invece luogo a fluorescenza diffusa. La stampa tipografica utilizzata negli anni più recenti ha consentito l’impressione delle combinazioni alfanumeriche con speciali tipi d’inchiostro che si contraddistinguono per caratteristiche fisiche e cromatiche rilevabili mediante speciifici sensori opto-elettronici. Nella produzione più recente è stato utilizzato un inchiostro a variabilità ottica che consente la valutazione immediata di genuità attraverso il cambiamento di colore della stampa variando l’angolo di incidenza della luce. Attualmente il tasso di contraffazione della moneta europea, dopo una crescita sostenuta nei primi due anni di circolazione, si è stabilizzato e le statische sulle contraffazioni inidividuate non destano particolari preoccupazioni per i governi. Nel 2007 le banconote false ricevute dai centri nazionali addetti alle analisi assommano a circa 566.000 esemplari, una percentuale molto contenuta se si considera che i biglietti autentici in circolazione hanno superato la media di 11 miliardi di esemplari. Il biglietto maggiormente contraffatto (circa la metà del totale) è stato il valore da 50 Euro. La Banca Comune Europea tuttavia ha già avviato attività di sviluppo per una seconda serie di banconote in euro che, facendo tesoro delle esperienze della prima serie, incorpori le più recenti caratteristiche di sicurezza. All’adozione di queste misure, si somma per fortuna la crescente efficacia dell’azione delle forze dell’ordine europee e nazionali.

Le monete metalliche in Euro
Le monete e le banconote in euro sono entrate in circolazione a partire dal 1° gennaio 2002 ed hanno corso legale in tutti i Paesi europei aderenti alla nuova divisa. Le prime monete metalliche false furono sequestrate nel marzo 2002. La moneta da 50 centesimi è realizzata con nordic gold, una lega di rame, alluminio, zinco e stagno. La moneta da 1 e da 2 euro è in lega di nichel, ottone e rame. Normalmente il prodotto falso si distingue per la scarsa nitidezza dei particolari delle figure a causa della qualità inferiore delle incisioni, ma sono stati immessi sul mercato anche esemplari falsi di qualità decisamente migliore, molto vicina a quella degli originali. Il taglio da 2 euro riproduce il ritratto di Dante tratto dal Parnaso, l’affresco di Raffaello Sanzio situato nelle stanze dell’appartamento di Papa Giulio II in Vaticano. Il taglio da 1 euro riproduce l’Uomo di Vitruvio da un disegno conservato nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Il taglio da 50 centesimi riproduce la statua dell’imperatore Marco Aurelio (160-181 d.C.) trasferita nel 1538 dalla zona del Laterano al Campidoglio e collocata al centro della piazza ristrutturata da Michelangelo su ordine di Papa Paolo III. Una recente operazione della Guardia di Finanza ha portato al sequestro di tondelli bimetallici simili nelle caratteristiche tecniche (peso, metallo e spessore) alle monete da 1 Euro e tondelli monometallici simili alla moneta da 50 Cent./Euro, ma privi di qualsiasi impronta. I tondelli mostrano lo stesso grado di magneticità che caratterizza le monete originali in modo tale da ingannare le macchine automatiche distributrici di prodotti o da gioco.