Elegante, leggero, ecologico, isolante, impermeabile, galleggiante, riciclabile. Entra nelle case intrufolandosi sotto forma di piastrelle, nell’arredamento come prezioso rivestimento per comodi cuscini da salotto o poltrone da esterno. Passeggiando si fa notare creando moda e tendenza. Lo ricordate alla fine degli anni ’60? Era la zeppa delle scarpe. Abbellisce e sfiora il nostro corpo con accessori ed abiti. Viaggia nello spazio, coinvolto in missioni planetarie come rivestimento dello shuttle per la sua resistenza al calore. Il suo più grande piacere? Il vino. È un incontro individuale quello con la bottiglia importante di elevata struttura: vino bianco, rosso o con le bollicine. Con il vino ha un rapporto privilegiato: lo contiene, ne impedisce la dispersione e vi dialoga, in alcuni casi, favorendone la crescita e l’espressione. È un mentore. Pone delle domande, semplici e profonde come sa essere l’ovvio della vita quotidiana quando è ascoltato. Quante volte aprendo una bottiglia di vino abbiamo visto ingrandirsi a dismisura il tappo appena estratto? Quante altre, invece, ci siamo chiesti come abbiano potuto posizionare un tappo con tali dimensioni di circonferenza nel collo della bottiglia che abbiamo davanti? Mantenendo il nostro stupore di curiosi ascoltiamo la storia, che una piccola nota visiva apre davanti ai nostri occhi raccontando dell’elasticità.
Cellette come le api
Era il lontano 1665, quando Robert Hook, insigne scienziato e inventore inglese, che aveva costruito un microscopio ottico di gran lunga superiore ai modelli reperibili all’epoca, esaminò una grande quantità di materiali: minerali, fibre tessili, piccole piante ed animali. Osservando il sughero, che è la parte esterna della corteccia della quercia da sughero, ecco cosa disse: “La sottilissima fetta del sughero era completamente perforata e porosa, con gli interstizi tra i pori molto sottili rispetto ai pori stessi come le sottili pellicole di cera rispetto alle cellette esagonali di un favo d’api. Sembra non vi sia nulla di più difficile da spiegare del fatto che il sughero non assorbe acqua e che possa chiudere e trattenere aria all’interno di una bottiglia. Se ci si chiede perché il sughero, quando viene compresso, si presenta così elastico e capace di rigonfiarsi, e tornare in seguito come prima ad occupare lo stesso spazio, il microscopio ci dice che l’intera massa consiste di un’infinità di cellette o vescichette d’aria, sostanza di per sé elastica, e che può subire una notevole compressione”.
Nato per il vino
Nella sua lunga esistenza, indiscussa è la vocazione a contenere e trattenere il vino. Certo, era comparso ben 3000 anni prima di Cristo come galleggiante per tenere sospese nell’acqua le reti dei pescatori cinesi, egiziani, babilonesi e persiani. In Italia nel IV sec. a.C. era utilizzato come rivestimento delle navi aumentandone tenuta e galleggiabilità, in forma di tappo per le botti, nelle calzature femminili e nei rivestimenti coibentanti della casa. Il vino e il sughero sono due compagni di vecchia data come testimonia l’anfora rinvenuta ad Efeso nel I sec. d.C. dove il vino contenuto nel suo interno era chiuso dal tappo di sughero. Qualche anno più tardi nell’abbazia di Hautvillers, per opera del monaco Dom Pierre Pérignon, venne utilizzato il sughero per sigillare la rifermentazione in bottiglia, in pratica la nascita del primo Champagne. Coincidenza fortuita o frutto di un consapevole studio monastico? Aveva anche lui letto la descrizione del sughero di Robert Hook pubblicata pochi anni prima?
Viaggio in Gallura
Abbiamo fatto un viaggio in Italia seguendo il sughero nel luogo dove la sua sontuosa presenza definisce l’elemento essenziale del paesaggio: la Gallura. Una possibile origine etimologica del nome geografico proviene dall’ebraico galil, “paese d’altura”, riscontrabile nell’effettiva presenza montuosa nella regione nord-orientale della Sardegna. Una terra ricca di roccia granitica levigata dal vento e dal mare, una trasformazione continua che modella un paesaggio che ricorda un deserto lunare. Se il granito è l’elemento geologicamente più rilevante, costituendone la catena montuosa del monte Limbara e disegnandone il profilo possente delle scogliere che più a nord giungono al mare, dal punto di vista floristico il paesaggio si distingue nettamente dal resto della Sardegna con la presenza di foreste di querce da sughero, la cui lavorazione costituisce una delle principali attività produttive. Degli otto paesi che compongono la comunità montana della Gallura (Tempio Pausania, Aggius, Aglientu, Bordigiadas, Calangianus, Luogosanto, Luras e Trinità D’Agultu) quello di Calangianus deve la sua fama mondiale proprio alla tradizionale produzione dei tappi, che sigillano le migliori qualità di Champagne, spumanti e vini di grande levatura di tutto il mondo.
Maschio e femmina
Guardiamone più da vicino le fasi di lavorazione con la visita al Sugherificio Peppino Molinas e Figli, accompagnati in questo tour dal paziente e infaticabile Michele Addis, biologo dell’azienda più prestigiosa nella produzione di tappi e agglomerati per l’edilizia, che stima una produzione solo nei tappi di due milioni e mezzo di pezzi quotidiani. Ci troviamo nel piazzale dell’opificio dove le plance scorzate della corteccia femmina, la sughera, giacciono accatastate sotto il cielo per la stagionatura, esposte alle intemperie per un intero anno dopo l’estrazione che avviene tra maggio ed agosto. In questo periodo naturali sbalzi termici con pioggia, vento e sole, aggrediscono, lavano ed essiccano spurgando tutte quelle sostanze tanniche di cui è ricca la corteccia e che, prima del 1800, almeno in Italia, ne rappresentava il vero e unico impiego di sfruttamento dell’albero con l’estrazione dei pigmenti coloranti impiegati nella tinteggiatura dei tessuti. Davanti ai nostri occhi gli accatastamenti delle cortecce solo in apparenza sono casuali. Già qui, le mani esperte degli operai selezionano partite di sughero simili tra loro, con le plance ancora ricurve che assomigliano a tegole giganti. Si edificano isole di materiale guardando lo spessore delle plance, la loro “pancia”, ovvero la superficie della corteccia a contatto con il fusto, liscia e levigata con la discontinua porosità di quella più pregiata. Uno sguardo alla “schiena”, che è invece la parte esterna, rivela come sia chiara e bruzzolosa quella del maschio, bruno scura e levigata quella della femmina, frutto della decennale ricrescita dopo la prima demaschiatura. Per essere chiari: la natura giocosa dei sardi sceglie di nominare l’albero al femminile con il termine la sughera. Il sughero della prima decortica è il sugherone, maschio, grossolano e legnoso, adatto ad essere macinato ed agglomerato in piastrelle isolanti; il sughero gentile o femmina, compatto e levigato nella sua parte esterna, viene utilizzato per la produzione dei tappi. Del sughero femmina, la plancia con ampio spessore sarà destinata per i tappi a pezzo unico, uno spessore più sottile, invece, per le rondelle dei tappi di spumante.
Acqua ed elasticità
Entriamo nello stabilimento percorrendo il tragitto del sughero come fosse una corrente. Subito ci accorgiamo che il corso della lavorazione assomiglia all’acqua di un fiume in prossimità del delta: lento, continuo paziente, fluido, con tanti canali e rivoli che disegnano un dedalo di percorsi, dove l’acqua prende direzioni diverse allontanandosi per poi ricongiungersi, costantemente mossa dal desiderio di procedere. Qui la sapienza dell’uomo affianca il paesaggio, è nel paesaggio, con azioni altrettanto pazienti. Nel primo ambiente si esegue la bollitura immergendo il sughero in piscine quadrate con il coperchio simili a grandi pentoloni. Le bolliture si compiono con alternanza oraria. Il sughero uscendo è fumante. Viene sistemato con cura sopra nuove pedane, maneggiato una plancia alla volta, una a fianco all’altra per formare un intreccio di strati ormai non più curvi, mantenuti da un peso che schiaccia l’intera superficie della catasta per tutta la durata dell’essiccazione. Al termine delle due giornate il pezzo rigenerato nella sua elasticità continua il viaggio passando di mano in mano in una selezione della scelta sempre più raffinata. Gli occhi avvezzi di altri operai scorgono difetti che in seguito alla bollitura si sono resi manifesti: alcune macchie sulla corteccia con sfumature nero pallide vengono indagate con l’incisione a mezzo di un temperino affilatissimo. Se la corteccia in sezione presenta nuance giallastre con molta probabilità ci sarà un “difetto di tappo”, dunque, quel pezzo di sughero cambia prontamente direzione. Seppur giudicato inadatto per il contatto con il vino, il sughero femmina di scarto diviene prezioso per sfamare la bocca del mulino che lo ridurrà in granuli per gli agglomerati delle piastrelle isolanti. Sempre guardando la sezione incisa della plancia l’occhio operaio, educato dall’esperienza, riconosce le spaccature della siccità, chiamate “anno secco” o la visibile presenza di piccole cavità scavate dalle formiche appena sotto lo strato di corteccia. Questo pezzo di sughero, pur subendo un declassamento nella ferrea gerarchia dei parametri stabiliti, sarà ammesso alla vita di tappo. Le cataste così ordinate e selezionate per provenienza della partita, anno di raccolta, data della bollitura e calibro dello spessore, passano alla fustellazione.
E il tappo è finito
Dalla macchina che punzona le listelle precedentemente preparate in direzione parallela allo sviluppo della corteccia per mezzo di un cilindro, usciranno i tappi unici grezzi, poi fresati, lisciati e trattati con processi di sterilizzazione a mezzo del vapore, prima di venir lubrificati con l’olio enologico che ne permetterà il corretto scorrimento sia in fase di imbottigliamento sia nell’ apertura della bottiglia. Le plance di spessore più sottile, invece, sono destinate alle rondelle per il tappo spumante e sono fustellate con un cilindro che punzona perpendicolarmente rispetto alla corteccia calibrata dall’esportazione di pancia e schiena. In entrambe le filiere lavorative, sia per i tappi a pezzo unico o agglomerati, oppure nella lavorazione delle rondelle, il controllo finale, ancora una volta, è affidato alle mani di donne e uomini. La selezione dei tappi finiti, che lentamente scorrono davanti alle postazioni individuali, avviene con instancabile attenzione e meticolosa cura per mezzo dei rapidi movimenti delle mani che operano lo smistamento finale nelle graduatorie di qualità. Questo è il tappo, eccentrico personaggio, che apre e chiude questa storia e le tante bottiglie di vino che nobilitano la nostra storia.