“L’Admi è un’associazione nazionale, con diverse sezioni in Italia, di donne musulmane originarie soprattutto di Paesi arabi, ma anche donne italiane che hanno scelto la religione islamica, o donne italiane di seconda o terza generazione, come me: sono nata in Italia da genitori di origine siriana e mi considero a tutti gli effetti italiana”, ci dice Nibras Breichege.
Qual è la vostra posizione rispetto al velo islamico?
Per quanto riguarda il velo islamico, che in arabo si chiama hijab, e che non è solo il copricapo ma comprende tutto l’abbigliamento, per tutti i teologi musulmani la donna che sceglie di essere praticante, quando esce di casa e davanti a tutti gli uomini estranei, dovrebbe coprire tutto il proprio corpo, ad eccezione del viso e delle mani. Non c’è una divisa o una tenuta particolare che la donna musulmana deve indossare. Può essere vestita anche alla moda, ma con un abbigliamento che non sia trasparente, né aderente. Qualsiasi abito che rispetti questi principi, siano gonne, pantaloni, maglioni, a seconda delle mode o delle stagioni, va benissimo.
Questo abbigliamento include quindi la copertura del capo?
Tutto il corpo, ad eccezione del viso e delle mani. Su questo tutti i teologi sono concordi, naturalmente nel rispetto del principio coranico chiarissimo “non può esserci costrizione nella religione”. Ciò significa che se una donna ritiene di non essere praticante, è liberissima di non esserlo, fosse anche la mia stessa figlia. Il mio compito di genitore è quello di trasmettere ai figli i principi della religione islamica, senza imporli. Qualsiasi donna dovrebbe essere libera di essere o non essere praticante, nell’abbigliamento, come nella preghiera o nel digiuno. Il precetto dell’abbigliamento è un precetto religioso come gli altri.
E a proposito del burqa e del niqab?
Il burqa è il vestito tradizionale afghano che copre tutto, dalla testa ai piedi, con la grata sugli occhi che lascia intravedere con molta difficoltà qualcosa, il niqab lascia scoperti gli occhi o in qualche caso li copre con un velo. La prescrizione di coprire il volto era indirizzata alle mogli del Profeta per distinguerle dalle altre donne. Portare il niqab non è dunque contrario alla religione islamica, per noi sono le migliori donne, si può seguire il loro esempio. Anche se i teologi musulmani europei hanno espresso delle fatwa, opinioni giuridico-religiose, che riguardano il contesto europeo. Poiché uno degli obiettivi del velo è quello di non attirare l’attenzione, di vestire in modo modesto in pubblico, il coprire il viso in Europa ha l’effetto contrario. Quindi è sconsigliato perché oltre ad attirare l’attenzione crea problemi di ordine pubblico, in quanto le leggi dei Paesi europei prevedono per la sicurezza che il volto sia scoperto. D’altra parte fare una legge ad hoc per vietare l’uso del burqa, oltre che limitare la libertà personale rischia di creare un irrigidimento. Ci sono donne musulmane arrivate in Italia dal Paese di origine con il niqab e poi hanno capito che qui non era il caso di portarlo. Una legge che impone il divieto rischia di confinare in casa donne convinte che quello sia il modo di coprirsi per uscire. Tra l’altro, in Italia sono pochissime.
Quando si parla di abito tradizionale s’intende sempre legato a una prescrizione religiosa?
No. Bisogna distinguere. Il vestito tradizionale iraniano si chiama chador: è un grande mantello nero appoggiato sul capo e che scende su tutto il corpo lasciando scoperto il viso. E’ un vestito tradizionale che corrisponde alle prescrizioni religiose. Invece, il burqa è un abito tradizionale che non lascia libero il viso, ma magari in quelle terre desertiche e di sabbia può far comodo avere il viso coperto. Naturalmente ha anche dei legami con la religione che purtroppo è stata strumentalizzata, perché in nome della religione è stato imposto a tutte le donne.
Per le donne musulmane che arrivano nei Paesi occidentali il velo può rappresentare un simbolo d’identità, di riconoscimento in un contesto a loro estraneo?
Non condivido questa lettura. Portare il velo è frutto di una convinzione personale, della scelta di essere praticante. Il velo è una pratica religiosa, non è un simbolo. Non lo porto perché mi si riconosca come musulmana, ma perché amo il mio Dio.