Mai più bambini senza sorriso

In libreria 'Noi, quelli delle malattie rare' di Margherita De Bac h

di Rita Piccolini

Chi sono i “bambini senza sorriso”? E' la prima domanda che viene in mente girando tra le mani il bel libro di Margherita De Bac “Noi, quelli delle malattie rare”.

Si legge questa definizione già nell’introduzione, scritta dalla stessa autrice del libro, e penso che illustri bene la sofferenza di tutti coloro che sono affetti da strane patologie, misteriose, difficili da diagnosticare, i cui sintomi appaiono spesso inspiegabili. Sono quasi sempre bambini le vittime delle malattie rare, perché la causa è per lo più genetica e si manifesta spesso proprio nel momento più bello, che dovrebbe essere il più felice, quello della nascita. E quasi sempre sono madri e padri ad accorgersi che qualcosa non va. L’amore, l’intuizione, l’attenzione di chi ama e a cui non sfugge niente fanno sì che siano i genitori, quasi sempre le mamme, a lanciare l’allarme. A volte i medici non colgono quello che agli occhi di una madre è evidente, anche perché si parla di malattie rarissime, o semplicemente perché vengono sottovalutate. Alcune sono rare al tal punto che non esiste neanche il nome per definirle. Ci sono oscure sigle coniate dall’Oms per identificarle, e addirittura a volte prendono il nome del bambino che colpiscono. Oppure hanno i nomi dei medici che le hanno scoperte, come la sindrome di Moebius, quella dei bambini senza sorriso. “Senza sorriso” non è una definizione poetica emblematica di una condizione umana terribile, ma si riferisce a bambini che non possono sorridere perché sono privi di espressività facciali, in quanto non hanno i muscoli del viso. E’stato un padre, il papà di Giulia, a trovare la soluzione.

Leggiamo dal libro: ”Un solo uomo era capace di restituire il sorriso ai bambini . il dottor Zuker, primario di chirurgia all’Hospital forn Sick Children di Toronto. L’operazione consiste nel prendere una porzione…di un muscolo della gamba e trapiantarla nella guancia. Ho conosciuto Zuker e gli ho chiesto di insegnare ai chirurghi italiani la sua tecnica. Lui ha accettato. Ora anche noi siamo capaci di restituire il sorriso ai bambini”.Poi ci sono i “bambini bolla” o i “bambini di pietra”, malattie indicate con la descrizione dei loro drammatici effetti, accanto a patologie più note all’opinione pubblica, come l’emofilia o la fibrosi cistica. Ne abbiamo parlato con l’autrice del libro.

E’ difficile capire di essere colpiti da una malattia rara? O se a soffrirne è un figlio?
La prima difficoltà è capire la sintomatologia che può essere confusa con altre. In media passano circa sette anni per la diagnosi. Sono quasi sempre malattie genetiche , nascono con noi. Secondo le stime le malattie rare sono circa 6.000 e la maggior parte sono senza cure e incompatibili con una lunga aspettativa di vita. Oltre a questo libro, ne avevi già scritto un altro: ”Siamo solo noi”, sullo stesso argomento.

Cosa ti ha spinto a occuparti di questo problema, qual è stata la molla?
All’inizio è stata la curiosità giornalistica, poi è subentrata la passione per queste storie di grande umanità. Un altro motivo: il fatto che non se ne parlasse abbastanza e la scoperta che dietro le malattie si nascondono storie speciali, di persone coraggiose , serene, che lottano per dare dignità e migliorare la condizione di vita dei propri cari più sfortunati, che ingaggiano battaglie disperate ma che a volte sono vincenti. Vince la caparbietà, il coraggio. C’è sempre tanta grandezza d’animo in queste storie. Oltre alla sventura della malattia e alla difficoltà di curarsi, le case farmaceutiche non investono in ricerca e in produzione di farmaci che servono solo a pachi pazienti, ci sono anche le difficoltà sociali in cui si muovono le famiglie . Non ci sono sostegni sociali, spesso non viene riconosciuta la disabilità, a volte a questi bambini viene negato persino l’insegnante di sostegno e infine c’è l’emarginazione. Il diverso spaventa. I bambini vengono emarginati perché c’è tanta ignoranza. Le famiglie sono sole.

Cosa fanno le istituzioni?
Poco. Nel 2001 è stata approvata una legge per istituire centri di riferimento regionali. Ma i fondi sono scarsi e la realizzazione della rete è molto lenta. Inoltre non ci sono specialisti e mancano i farmaci specifici, perché non hanno mercato. Qualcosa si muove a livello privato ma sono le famiglie di chi è affetto da malattie rare che si muovano, si collegano, cercano risposte confrontandosi con chi affronta gli stessi problemi . Spesso le trovano. La soluzione per attenuare gli effetti della malattia può essere una certa pratica riabilitativa, un certo tipo di attività sportiva, il rinunciare a mangiare un determinato cibo. Spesso le famiglie ci arrivano da sole, studiando, osservando, arrivando a individuare faticosamente il medico giusto, che ascolta e mette a fuoco il problema. E dopo questi drammatici percorsi quel bambino o quella bambina che secondo alcuni medici non avrebbero avuto che la prospettiva di vivere come “vegetali” possono vivere dignitosamente, anche con gioia e per la gioia di chi li ama.

Cosa fare per aiutare queste persone?
Parlarne. Il più possibile. Fare conoscere le loro difficoltà. Aiutarle a mettersi in contatto tra loro per scambiarsi informazioni e consigli e vincere l’isolamento. Del resto Margherita De Bac lo spiega già nell’introduzione quello che si propone con il suo nuovo libro: ”Se scrivere può contribuire a non spegnere la telecamera, lo farò. Per l’impegno preso con le mamme che mi hanno pregato di non fermarmi. Uno di loro mi ha scritto sul blog: ricevere una tua risposta riempie la mia giornata di luce. Per me è esattamente lo stesso”.

Margherita De Bac è una giornalista del Corriere della Sera. Scrive di medicina, sanità e bioetica. “Noi, quelli delle malattie rare. Storie di vita amore e coraggio” è il suo secondo libro sull’argomento.Il primo è stato: ”Siamo solo noi”. Nel 2009 ha aperto il blog www.lemalattierare.info, che è diventato un luogo di dialogo e di confronto per famiglie di ammalati, medici e ricercatori.