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Facilitare l'accesso al credito

Intervista a Faraone, presidente della Cooperativa Placido Rizzotto di Libera Terra h

Presidente della Cooperativa Placido Rizzotto di Libera Terra, composta da 30 soci. Produce vino, grano duro, legumi melone e pomodoro. Occupa una quarantina di persone nelle varie attività. E’ una cooperativa sociale che prevede l’impiego di almeno il 30% di lavoratori appartenenti a categorie svantaggiate.

L’esperienza della Cooperativa Placido Rizzotto si può dire che sia figlia della legge 109/96 sull’utilizzo a fini sociali dei beni confiscati alla mafia. Cosa ha significato per il territorio la vostra esperienza, quali difficoltà avete incontrato?
Il progetto Libera Terra nel caso del territorio dell’Alto Belice Corleonese, fortemente caratterizzato dalla presenza della mafia,ha dato per la prima volta l’opportunità di cambiare l’immagine che molte persone in quel territorio avevano delle istituzioni e dello Stato. Uno Stato che è stato presente con l’azione repressiva delle forze dell’ordine e della magistratura, più assente quando si è trattato di dare opportunità alla collettività. I beni confiscati rientravano in questa situazione. Molti beni, tante strutture produttive e terreni che in mano ai mafiosi davano possibilità di lavoro, nel momento in cui venivano acquisiti dallo Stato restavano improduttivi. Attraverso l’assegnazione alle nostre cooperative è stata data la possibilità di recuperarli e di restituirli alla collettività, di creare le condizioni di lavoro, ma questa volta sulla base del rispetto delle leggi, e questo ha rappresentato una rivoluzione per il territorio in cui operiamo. Ne abbiamo una dimostrazione concreta. Quando nel 2001 si è costituita la Cooperativa, nata per bando pubblico, sono arrivate 120 domande, solo la metà arrivava dai territori in cui le attività si svolgevano. Poi, quando nel 2007 è stata costituita la cooperativa Pio La Torre, le domande sono state 300 e per il 90% provenivano dalla zona: era il segno che il progetto veniva percepito come credibile e come una opportunità per il territorio. Ci siamo resi conto che questi progetti servono anche a togliere il consenso alle mafie e ad acquisirlo alla legalità, quel consenso che la mafia ha e che è dimostrato dal fatto che molti latitanti sono stati trovati nei territori in cui operavano. Il consenso sociale per la mafia è importante, su quello fonda il suo potere.

Le difficoltà riguardano il fatto che i beni vengono assegnati al termine di una lunga trafila, che ha tempi lunghi, nel nostro caso li abbiamo presi in affidamento dopo dieci anni, e in condizioni di totale abbandono e degrado. Per cui le cooperative giovani, non dotate di capitali, nel recuperare vaste estensioni di terreno abbandonate hanno incontrato difficoltà che hanno rallentato molto il processo di recupero delle aree, senza considerare che la mafia non sta a guardare e mette in atto incendi e intimidazioni. Ci vorrebbero meccanismi per consentire ai beni di essere tutelati dal momento della confisca fino all’assegnazione al destinatario. così si alleggerirebbe la fase di start up delle cooperative e i terreni sarebbero subito produttivi.

In questo senso l’istituzione dell’Agenzia nazionale può avere effetti positivi?
Certo. Per la prima volta si è introdotto il concetto della necessità che ci sia un soggetto che segua il bene in tutte le sue fasi dal sequestro a dopo la confisca, affinché il bene venga tutelato. Questo è un fatto molto positivo che ci soddisfa. Ovviamente la preoccupazione è legata al peso dato a questo organismo, ai compiti che ha e per i quali avrà bisogno di risorse umane ed economiche. Molto dell’efficacia dipenderà quindi anche dalle risorse di cui potrà disporre.

Avete avuto qualche sostegno economico dalle istituzioni?
In alcuni casi abbiamo avuto delle strutture che sono state recuperate attraverso finanziamenti del Pon Sicurezza del Ministero degli Interni. Intervento che ci ha evitato di dover investire noi. Anche perché tutte queste cooperative hanno una grande difficoltà che è l’accesso al credito: gestiscono grandi patrimoni, beni di grande valore, ma di cui non hanno la proprietà e che non costituiscono garanzie per le banche. Per fare investimenti che accrescano il valore dei beni, che non sono della cooperative bensì dello Stato, servono prestiti dalle banche e ogni volta dobbiamo arrampicarci sugli specchi per ottenerli. Ci vorrebbe un intervento dello Stato che, attraverso l’istituzioni di speciali fondi di garanzia, garantisse l’accesso al credito.

Questi fondi non esistono ancora?
Lo Stato ancora non ha predisposto questo strumento importante per il recupero dei beni. Se io parto da un terreno completamente abbandonato, distrutto, ci impianto sopra un vigneto di qualità, ovviamente incrementa il patrimonio dello Stato. Ed è lo Stato che deve predisporre le misure di garanzia per poter accedere al credito bancario. Siamo cooperative, imprese agricole con i contributi che hanno tutti gli imprenditori agricoli, siamo sul mercato come tutti gli altri.

Dal punto di vista delle produzioni, avete introdotto novità?
Le nostre cooperative usano il metodo della agricoltura biologica. Stiamo impiantando diversi pannelli di fotovoltaico e puntiamo a raggiungere lo status di azienda bio-energetica. Lavoriamo molto sulla qualità dei nostri prodotti e in questo senso abbiamo una collaborazione con Slow Food. Pensiamo che il bene confiscato non debba essere un bene solo per chi lo gestisce, ma debba diventare anche opportunità per altri soggetti del territorio che rappresentano una economia sana, per altre strutture produttive che magari trasformino al meglio quanto noi produciamo. Stiamo cercando di creare tutta una filiera e un contesto territoriale radicato intorno all’uso sociale dei beni confiscati. E in questo modo puntiamo a creare consenso intorno alla lotta dello Stato alla mafia.

Il momento più esaltante della cooperativa?
E’ stato quest’anno, quando, dopo tanti anni, abbiamo preso possesso della cantina, anch’essa confiscata, la cantina “Centopassi” e che quest’anno ha imbottigliato per la prima volta il nostro vino. E’ stato il completamento di un percorso iniziato nel 2001.