Thailandia


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Il giorno più violento

Sabato 10 aprile, una data già entrata nella storia difficile e ricca di rivolgimenti violenti di un Paese che non conosce tregua

dall'inviato Rai Paolo Longo

Il primo ministro thailandese Abhisit Vejjajjva è andato in televisione, a reti unificate, per rassicurare il Paese che il suo governo è solido e unito in questo momento di grave crisi, e tutti hanno capito che il suo governo ha le ore contate.

I leader del movimento delle camicie rosse hanno respinto l’ipotesi di nuove elezioni tra sei mesi, le vogliono subito e vogliono che Abhisit si dimetta immediatamente, e per la prima volta in questa crisi il capo delle Forze Armate thailandesi ha avvertito che la crisi non si risolve con le armi, ma con nuove elezioni. Tutto questo è il risultato immediato di una giornata di straordinaria violenza, quella di sabato 10 aprile, che è già entrata nella storia difficile e ricca di rivolgimenti violenti della Thalandia. 21 morti, oltre ottocento feriti e grandi distruzioni anche nelle zone frequentate dai turisti ne fanno la giornata più violenta degli ultimi venti anni.

Nel suo discorso televisivo Abhisit (questo è il suo primo nome, ma in Thailandia si usa identificare le persone così) ha accusato non meglio identificate forze terroriste infiltrate tra le camicie rosse per l’esplosione di violenza e il vice primo ministro ha assicurato di aver dato l’ordine ai soldati di scendere in piazza armati solo di scudi, bastoni e gas lacrimogeni. Questo però contrasta con la nostra esperienza diretta, con il cameraman che lavora per noi in Thailandia abbiamo vissuto direttamente l’intera giornata di violenza, dalle due del pomeriggio quando poliziotti e soldati hanno sfondato le barriere innalzate dalle camicie rosse intorno alle aree occupate da un mese, fino al cessate il fuoco poco dopo la mezzanotte. Abbiamo visto e ripreso, come hanno fatto tutte le televisioni in quel giorno, una grande organizzazione da parte delle camicie rosse, capaci di riorganizzarsi dopo ogni assalto della polizia, guidati non solo dalla rabbia e dalla disperazione, ma anche da una buona organizzazione “militare”, e abbiamo visto i soldati usare armi automatiche contro i rivoltosi. La cronaca della violenza lascia però ora il passo alla discussione sul come uscire da questa crisi (e Abhisit sembra destinato a uscire di scena molto presto ) e all’analisi di che cosa è questo movimento delle camicie rosse.

All’inizio il movimento era nato sotto la spinta dell’ex primo ministro Taksin Shinawatra, un miliardario populista, deposto da un colpo di stato militare incruento nel 2006 e oggi in esilio dopo una condanna per abuso di potere, ma oggi è cresciuto molto al di là della sua figura. Oggi le camicie rosse, che rappresentano la parte più povera del Paese e provengono dalle zone agricole nel nord del Paese o dalle periferie urbane vogliono molto di più. “La Thailandia- dice Pasuk Phongpaichit, sociologa e docente universitaria- è un paese diviso in modo profondo tra le città che si sono avvantaggiate dal boom economico degli ultimi anni e le campagne rimaste molto arretrate. Il divario è tredici volte superiore a quasi tutti i Paesi asiatici, il 42% dei risparmi in banca sono depositati nell’uno per cento dei conti bancari del paese”.

Come in molti altri paesi asiatici, insomma, lo scontro è ancora una volta tra le elite urbane e le campagne. Se si va al voto subito le campagne vinceranno ancora una volta, Taksin probabilmente tornerà e la Thailandia cambierà colore. Dal rosso di oggi passerà al giallo delle prossime manifestazioni di piazza che chiederanno la caduta del futuro governo, come era accaduto due anni fa. Con conseguenze gravi per la sua economia e la sua industria principale, il turismo.