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'Sul Web non può essere tutto permesso'

Depositata la sentenza contro i dirigenti di Google google_generica_296

Non può esistere ''la 'sconfinata' prateria di internet dove tutto è permesso e niente può essere vietato'': lo scrive il giudice di Milano, Oscar Magi, nelle motivazioni della sentenza di condanna di tre dirigenti di Google, per violazione della privacy, in relazione ad un filmato che riprendeva un minore disabile insultato in una classe. Filmato che venne caricato sul famoso motore di ricerca.

Il giudice, nelle 111 pagine di motivazioni, spiega che ''esistono, invece, leggi che codificano comportamenti e che creano degli obblighi; obblighi che, ove non rispettati, conducono al riconoscimento di una penale responsabilità''.

In uno dei passaggi delle motivazioni si legge che l'informativa sulla privacy ''visualizzabile per l'utente dalla pagina iniziale del servizio Google Video'' era ''talmente nascosta nelle condizioni generali di contratto da risultare assolutamente inefficace per i fini previsti dalla legge''. L'informativa sulla privacy, spiega il giudice nelle motivazioni, ''visualizzabile'' per l'attivazione ''del relativo account al fine di porre in essere il caricamento dei files da parte dell'utente medesimo, era del tutto carente, o comunque talmente nascosta'' da risultare inefficace.

Il 24 febbraio scorso tre dirigenti di Google vennero condannati a sei mesi, con la sospensione condizionale della pena, per violazione della privacy, mentre vennero assolti dal reato contestato di diffamazione. Un quarto dirigente, accusato solo di diffamazione, venne assolto. Al centro del processo, c'era un video che mostrava un ragazzino disabile insultato e picchiato da alcuni compagni di scuola di un istituto tecnico di Torino. Il filmato venne realizzato dagli studenti nel maggio 2006 e da loro caricato su Google Video l'8 settembre, dove rimase cliccatissimo per circa due mesi. L'inchiesta a carico dei dirigenti di Google e' stata coordinata dai pm di Milano Alfredo Robledo e Francesco Cajani.

La condanna dei tre dirigenti era stata criticata duramente dall'ambasciata Usa a Roma, la quale aveva sostenuto che ''il principio fondamentale della libertà di internet è vitale per le democrazie''.