Festival della Letteratura Ebraica


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Morris, la responsabilità della Storia

'Gli storici fanno parte di un'elite che influenza e forma la visione collettiva delle cose'

Benny Morris è uno storico israeliano, tra i più influenti rappresentati dei Nuovi Storici post-sionisti, un gruppo di ricercatori universitari che ha rimesso in discussione alcune visioni dei conflitti arabo-israeliani, specialmente quello del 1948 susseguente all'autoproclamazione di indipendenza dello Stato di Israele. L'opera che lo ha reso celebre: 'The Birth of the palestinian refugee problem', un lavoro di 'precisione e di dettaglio burocratico'. Dal 2005, insegna anche all'Università statale del Maryland, nella cittadina College Park, Usa.

Che ruolo ha lo Storico nella trasmissione della Storia alle generazioni future, che non hanno vissuto gli eventi e soprattutto nella trasmissione del punto di vista dell’altro?
Lo Storico è come il giornalista, o come l’artista, o come il politico: partecipa alla creazione della memoria collettiva. In questo modo la memoria collettiva prende forma e si trasmette alle generazioni giovani grazie anche e soprattutto agli storici che fanno una revisione della Storia. La visione dell’altro cambia rispetto alle circostanze e c’è una elite che influenza e forma la visione collettiva delle cose. E quindi anche la visione dell’altro. Gli storici hanno questa responsabilità. Fanno parte di questa elite. E’ un dato di fatto.

Questo sguardo rivolto un po’ sempre al passato non rischia di impedire una nuova creatività?
Non sono un esperto di cultura e letteratura ebraica, ma posso dire con certezza che il popolo ebraico non ha mai perduto la sua creatività. Basta guardare ai molti Nobel riconosciuti e al numero altissimo di scrittori e letterati. Non soltanto gli ebrei non possono evitare di volgere lo sguardo al passato, ma questa operazione è fondamentale per capire e spiegare il futuro.

La letteratura può essere uno strumento per arrivare alla comprensione del conflitto?
La gente pensa che l’opera degli storici e dei letterati apra la mente alla verità del conflitto e quindi alla sua soluzione. Io non ne sono tanto sicuro. Penso che discipline come la letteratura e la storia possano determinare un’apertura in senso liberale, ma potrebbero anche portare a una involuzione in senso aggressivo.

Come giudica l’attuale conflitto israelo-palestinese?
Si tratta di una lotta globale tra l’Islam arabo e il mondo giudaico-cristiano. Tutta la cristianità, e quindi l’Italia, sono partner di questa lotta e sono e devono essere al fianco di Israele.

Un’inedita alleanza?
Siamo in guerra e alla guerra bisogna saper rispondere. Questa, in particolare, è sicuramente una lotta tra culture-religioni, e i loro rispettivi valori.

Come giudica la situazione attuale in Medioriente alla luce della vittoria, in Israele, della destra di Netanyau e del nuovo panorama aperto da Obama?
La situazione è complicata. Non ci sono, al momento, prospettive favorevoli alla pace. Il problema principale non è il conflitto israelo-palestinese, ma il programma nucleare in Iran, anche e soprattutto per i paesi arabi moderati.

Non c’è il rischio che il nucleare iraniano diventi l’unico problema e ostacoli il processo di pace nella regione?
La potenza iraniana rafforzata dal progetto nucleare getta un’ombra colossale non solo sul conflitto, ma su tutto il mondo musulmano già abbastanza diviso al suo interno tra sunniti e sciiti. L’Iran arma Hamas e Hezbollah, che aggrediscono Israele. Hamas vuole la distruzione di Israele e la maggior parte dei palestinesi non ha ancora accettato l’esistenza dello Stato di Israele. Certo che ci sono degli errori anche da parte di Israele: non si può condividere l’insediamento forzato dei coloni nei territori palestinesi. Ma non c’è possibilità di pace con i palestinesi.

Come giudica il nuovo rapporto Onu sulla guerra, cioè il rapporto Goldstone?
E’ stato dato uno strumento politico in mano a quella propaganda che, come unico obbiettivo, ha quello di picchiare forte su Israele. Israele costituirà una commissione di inchiesta per verificare i fatti. Durante i suoi lavori, la commissione Goldstone ha sentito solo arabi, e soprattutto arabi di Gaza. E’ vero che il governo israeliano ha boicottato il lavoro della commissione, ma è anche vero che la commissione al momento non ha ascoltato nessun israeliano. Le conclusioni sono, dunque, di parte.(C.T.)