Venezia 66


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La corsa per il Leone d'Oro

Solondz e Moore favoriti, ma i giochi sono aperti

di Sandro Calice

Proiettati gli ultimi film in concorso, “A single man” di Tom Ford, “Mr. Nobody” di Jaco Van Dormael e “Lola” di Brillante Mendoza, comincia l’attesa per il verdetto della giuria presieduta da Ang Lee, che assegnerà il Leone d’Oro nella cerimonia di sabato sera in Sala Grande.

I pronostici, che si sa, sono fatti per essere smentiti, vedono favorito “Life during wartime” di Todd Solondz, cinico spaccato di una certa America, con una sceneggiatura al vetriolo. Lo seguono il documentario di Michael Moore sul “sogno” americano, “Capitalism: a love story”, e la guerra vista dal mirino di un carro armato di “Lebanon”, di Samuel Maoz (il nostro preferito, tra i tre). Ma sono insidiati da vicino da “Lourdes” di Jessica Hausner, “Il cattivo tenente” di Werner Herzog”, “Persecution” di Patrice Chéreau e “Lola” di Brillante Mendoza, questi ultimi due molto “veneziani” come film, e che potrebbero essere la vera sorpresa. Tra gli italiani, il meglio piazzato sembra “Lo spazio bianco” di Francesca Comencini, poi “Baarìa” di Tornatore, “Il grande sogno di Placido e “La doppia ora” di Capotondi.

Complessivamente, possiamo dire che è stata un’edizione che, Muller l’aveva annunciato, ha mescolato l’alto e il basso, con pochi momenti memorabili, aggiungiamo noi. Oltre il cinema, due note a margine, una fondamentale, l’altra curiosa. Nel 2011 dovrebbe vedere la luce il nuovo Palazzo del cinema. Forse è il caso di ammodernare anche le attrezzature, viste le innumerevoli volte che i proiettori si sono rotti o hanno funzionato male, tanto che durante la prima di “The men who stare at goats” George Clooney è salito personalmente in cabina di proiezione, mentre Todd Solondz (due proiezioni andate male per il suo film) ha minacciato di non mettere più piede a Venezia. La seconda nota riguarda la Coca Cola. Non ne siamo fan, ma è stato impossibile trovarne una nei bar della Mostra. “Valorizzazione dei prodotti italiani”, la nobile spiegazione. Si, va bene, ma l’autarchia è un’altra cosa.



A SINGLE MAN

di Tom Ford, Usa 2009 (IM Global)
Colin Firth, Julianne Moore, Nicholas Hoult, Matthew Goode

“La moda è volatile, è frivola, dopo la donna che sfila in passerella tutto finisce. Il cinema invece è qualcosa che dura nel tempo. Questa è la cosa più personale che ho fatto: espressione pura, mentre la moda è un'arte commerciale”. Parola di Tom Ford, che sulla moda ha costruito la sua fortuna e qui è alla sua opera prima. Tratto dal romanzo di Christopher Isherwood, “A single man” è la storia, tutta in un giorno, di George Falconer (Firth), professore di 52 anni omosessuale che non riesce a vivere dopo la morte di Jim (Goode), suo compagno per 16 anni. Siamo nella Los Angeles del 1962, subito dopo l’invasione americana di Cuba. Falconer organizza minuziosamente quella giornata. A sconvolgere i suoi piani, Charley (Moore), l’amante di un tempo e l’amica di sempre, e Kenny (Hoult) giovane studente che vede nel professore una soluzione alla sua diversità. Le cose non vanno mai come ti immagini.

“A single man” è un film elegante, patinato quasi. E cos’altro ci si poteva aspettare da un’icona del gusto e del lusso come Ford. I personaggi sono vestiti benissimo (un po’ troppo come il regista nella realtà), le ambientazioni sono impeccabili, i comportamenti sempre di classe. Una perfezione formale che, se da un lato si sposa bene e anzi esalta la disperata solitudine del personaggio, dall’altro rischia di “raffreddare” le emozioni. E’ comunque un film sull’amore, in generale, non solo omosessuale. E sulle piccole cose della vita che spesso trascuriamo e che invece possono salvarcela, la vita.


MR. NOBODY

di Jaco Van Dormael, Francia 2009 (Wild Bunch)
Jared Leto, Sarah Polley, Diane Kruger, Linh-Dan Pham, Rhys Ifans, Natasha Little, Toby Regbo, Juno Temple, Clare Stone, Thomas Byrne.

Provate voi a raccontare “Mr. Nobody” dopo averlo visto. Nemo Nobody (Leto) è un bambino quando davanti a un treno che parte si trova a dover fare la scelta impossibile di scegliere tra la madre che va via e il padre che resta. Una decisione che apre un numero infinito di futuri possibili. Ed è quello che accadrà. Nemo resta e si innamora di Elis, oppure di Jean. Ma parte anche, e conosce Anna, l’amore della sua vita. Nemo è ricco e ha una famiglia felice, ma lui non lo è. Nemo ha tanti figli, ma la moglie è depressa e rischia di portare tutti alla distruzione. Nemo perde Anna e la ritrova anni dopo, per perderla di nuovo. Nemo va su Marte, perché ha promesso alla moglie di spargere lì le sue ceneri quando fosse morta. Nemo ha 118 anni, e in un futuro in cui la vecchiaia non esiste, ricorda e racconta tutte le sue vite.

Van Dormael, tornato alla regia dopo “Toto le Hèros” (1991) e “L’ottavo giorno” (1996), dice di aver voluto fare un film sulla complessità, sulla vita, sulle scelte. E per raccontare questo, prende lo spettatore per mano lungo un percorso onirico, colorato, metafisico e fisico, dando addirittura delle “spiegazioni” scientifiche di quello che accade o può accadere. Un film interessante, anche se gli avrebbe giovato insistere di meno, rischiando inutili ripetizioni, col gioco delle infinite possibilità.