di Emanuela Gialli
(e.gialli@rai.it)
Prima di lasciare la Sardegna, siamo tornati a Nuraxi Figus. Qui, da oltre 24 ore ormai la miniera ha ripreso a funzionare e a produrre ai ritmi di sempre. E qui incontriamo le uniche due donne che “vanno sotto”, come dicono loro.
Valentina Zurru ha partecipato all’occupazione da lunedì mattina a venerdì notte, della scorsa settimana. Tutte quelle ore, riesce addirittura difficile contarle, pensando che sono state trascorse a 400 metri di profondità, lì dove si prende il carbone.
Quanto tempo è che lavora in miniera Valentina?
Da 25 anni, dall’87.
Era giovanissima.
Dipende dai punti di vista.
Certo, è un lavoro logorante. Le chiedo una cosa molto ovvia: quello della miniera sembra un lavoro più per uomini che per donne, non crede?
No, non sono d’accordo. Certo è vero che ci sono altri lavori che fanno i colleghi maschi e che una donna sarebbe ridicola a farli. Però il mio lavoro lo fanno anche gli uomini.
E lei quando sta sotto che fa? Di cosa si occupa?
Attualmente sono al reparto di bullonamento. Ma sono stata assunta come trigonometrista e l’ho fatto per 15 anni. Da 10 anni invece seguo il lavoro di sostegno delle gallerie e degli scavi, del tracciamento, di delimitazione del” pannello di coltivazione”. Bullonamento, coltivazione. Termini difficili da comprendere se non si è del mestiere. Valentina ha studiato all’Istituto minerario di Iglesias. E’ perito minerario.
Come mai questa scelta?
Ma sa, allora, avevo 13 anni, che capivo? Però mi piaceva l’Istituto, la sede. L’ha visto?
No.
E’ bello, con tutti quei marmi. Ed è il secondo per importanza, in Italia. L’ho scelto perché mi piaceva l’architettura del palazzo. Poi è diventata una passione.
Valentina si esprime con termini molto tecnici ed è chiara quando spiega.
Che vuol dire che seguite il “bullonamento”?
Fino a qualche anno fa, si scavavano le gallerie, sulle pareti si mettevano la rete e poi i “cappelli” (travi, ndr), centine o quadri in ferro, anche ad arco, per sostenerle. Quando scendiamo in miniera poi li vediamo. Ora invece si mettono solo la rete e questi bulloni. Però bisogna metterli bene. E noi controlliamo che vengano messi bene. Si tratta di studiare il metodo di bullonamento ottimale per sostenere quel determinato tipo di scavo che seguiamo. Una volta deciso, si seguono le operazioni di perforazione della corona e delle pareti. I lavoratori installano i bulloni lunghi fino a 8 metri. E noi controlliamo la validità degli ancoraggi dei bulloni ed eventualmente chiediamo la ripetizione dei bulloni, qualora dovessero essere falliti. Installiamo anche le stazioni di monitoraggio lungo le gallerie, a determinate distanze, per controllare in modo precisissimo, millimetrico, gli eventuali spostamenti del tetto. Quindi, se la roccia si sta scollando, cioè sta cominciando a cedere e a collassare, approntiamo degli interventi di rinforzo, o con bulloni, magari più lunghi, o con altri supporti passivi.
Ogni giorno in miniera si lavora per estrarre il carbone. E si scavano metri e metri di gallerie. Attualmente nella Carbosulcis ci sono circa 40 km di gallerie.
Fate turni di quante ore?
Otto ore. Ma a volte dobbiamo restare, se le cose non vanno bene. In quel caso non c’è orario che tenga. I turni sono dalle 7 alle 15, dalle 15 alle 23 e poi la notte.
Fate pause?
Mezz’ora per la mensa e mezz’ora per la doccia. Chi è del sottosuolo non recupera la mensa.
La paga media qual è?
Gli impiegati, che stanno all’esterno, rasentano i 1000 euro. Quelli dell’interno (del sottosuolo, ndr), senza straordinari, forse 1200-1300 euro.
Certo, questa realtà adesso è entrata un po’ in crisi, anche per le nuove normative a tutela dell’ambiente.
E’ sempre stata un po’ in crisi, diciamo. In alcuni momenti si sente di più. Come nel ’93: c’è stata un’occupazione, ci sono state manifestazioni a Roma, alle quali ho già partecipato. Questo è un altro momento difficile. Ma siete tornati al lavoro, quindi vi sentite più sicuri.
Assolutamente no. Siamo sempre in allerta. Perché non abbiamo avuto risposte risolutive e non abbiamo visto nero su bianco. Noi qui possiamo avere qui la miniera e la centrale elettrica, con lo stoccaggio della CO2. Qua, nel nostro sottosuolo. Questo è il sito ottimale per farlo. Abbiamo il carbone, lo bruciamo nella centrale, poi captiamo, senza inquinare, l’anidride carbonica nel sottosuolo, in condizioni geologiche stabili. Certo, ci manca la centrale.
Una centrale alimentata dal carbone della miniera di Nuraxi Figus. E bisognerebbe farla qua.
Certo. E’ per questo che ci potrebbe essere il disappunto dell’Enel che ha già una sua centrale e per la quale ha ricevuto, ricordiamo, molti finanziamenti.
E questa nuova centrale garantirebbe altri posti di lavoro. Certo. Capisce che non è una questione solo della Carbosulcis o del nostro stipendio, ma del territorio.
Adesso dobbiamo scendere e ci prepariamo. Indossiamo la tuta, le ginocchiere, gli scarponi anti-infortunio, la mascherina, i guanti, il cappello, sul quale viene applicata la luce e poi ci danno un dispositivo per l’ossigenazione in caso di emergenza. Pesa oltre 3 chili. Ci fanno anche un corso rapido per imparare a usarlo. Come sull’aereo. Non si può mai sapere. Siamo pronte. Prendiamo l’ascensore.
Va forte. A che velocità scende?
2,5 metri al secondo (risponde l’ascensorista, ndr).
Ci vogliono 2 minuti e mezzo per arrivare. L’ascensore ha tre piani, per trasportare fino a 30 minatori a ogni cambio turno.
Di quanto stiamo scendendo?
Di 373 metri, più 100 metri, perché Nuraxi sta 100 metri sopra il livello del mare. Quindi stiamo scendendo di circa 500 metri.
Stavo pensando al sogno ricorrente di molte persone, di stare in ascensore e di salire, salire, fino al cielo. Qui invece scendiamo.
E già.
Arrivate. Usciamo dall’ascensore. Salutiamo i colleghi di Valentina in attesa del cambio turno.
Qui dove siamo?
Questa è una delle prime gallerie rette da quadri trapezoidali. Adesso usiamo i bulloni, come dicevo.
E ora dove andiamo?
Alla “riservetta”, simbolo della nostra occupazione. Qui sono custoditi circa 700 kg di esplosivo e 1200 detonatori, che servono per aiutare le squadre di avanzamento ad aprire i varchi. L’esplosivo viene usato quando la roccia geologicamente non consente l’aggressione da parte delle macchine. Di questo esplosivo viene tenuto un registro per il controllo quotidiano.
Esplosivo che avete minacciato di usare durante l’occupazione.
Sì.
E queste sul soffitto che sono?
Vasche d’acque pronte a spegnere il fronte di fiamma, causato da un’esplosione di polveri. i
Arrivano improvvise e forti folate di vento.
E quest’aria da dove arriva?
Questo è un vento indotto. Si creano appositamente dei circoli d’aria.
Che sollevano polvere. Questa è terra o è proprio carbone?
Qui c’è tutto. Le squadre di avanzamento aprono varchi da 5 metri. Le “coltivazioni”, realizzate da due tracciati paralleli, uniti da un altro tracciato trasversale, arrivano invece a misurare fino a 250 metri. Qui lavorano macchine sezionatrici, per così dire, che permettono l’estrazione del carbone.
Risaliamo, fuori c’è Patrizia Gaias, che ha finito il suo turno. Anche lei, come Valentina, da 25 anni lavora nel sottosuolo. E’ la seconda donna della miniera a scendere nelle gallerie.
Patrizia, non le sembra questo un lavoro un po’ anacronistico, questo, nel Terzo Millennio? Non è arrivato il momento di cambiare? Di abbandonare la miniera?
E’ vero, in Sardegna c’è e ci può essere altro. Ma abbiamo una classe politica che non pensa a questo “altro”. Perché la Sardegna potrebbe vivere di turismo, di agricoltura, abbiamo tanta terra incolta, quindi chi meglio di noi potrebbe vivere da questo punto di vista? Però non so se è giusto abbandonare la miniera. A me questo è un lavoro che piace e vorrei riuscire ad andare in pensione con questo lavoro.
Patrizia è sposata, divorziata e due figlie ventenni.
Il lavoro in miniera ha condizionato la sua famiglia?
Ma no. Però è strano: ci vedete come degli extraterrestri. Questo è un lavoro come un altro, come lo è quello in fabbrica e io personalmente non ho alcuna difficoltà a fare questo lavoro.
Ma il futuro di questa miniera lei come lo vede, Patrizia?
Lo vedo nero. Come il carbone.