Venezia 69


Stampa

Pietà coreana e guerre portoghesi

I film in concorso di Kim Ki-duk e Valeria Sarmiento

di Sandro Calice

Dalla Corea al Portogallo, da un drammatico presente a un tragico passato, nella sua settima giornata la Mostra oscilla tra “Pietà” di Kim Ki-duk e “Linhas de Wellington” di Valeria Sarmiento, i due film in concorso per il Leone d’Oro. Nella sezione Orizzonti, invece, c’è un altro italiano, Leonardo Di Costanzo con “L’intervallo”, storia di due ragazzi, un riluttante carceriere e una prigioniera spavalda, nella Napoli della camorra.

L’evento della giornata è il premio Bresson che il Patriarca di Venezia mons. Moraglia ha consegnato al regista britannico Ken Loach per l’impegno politico e sociale testimoniato dai suoi film. “Loach – ha detto Moraglia - sfugge alla retorica dei vincitori per posare lo sguardo sugli ultimi, sui precari della vita”. Volti e vicende che sotto lo sguardo attento e partecipe di Loach “assumono una nuova dignità non legata al successo e al potere, ma al recupero dell’uomo e della sua dignità fondamentale”. Loach, dal canto suo, non ha smentito la sua fama di “comunista”, con parole di fuoco contro il capitalismo e le corporazioni, ma anche contro Thatcher, Merkel e Clint Eastwood. “Oggi è difficile vivere una vita decente – ha chiosato attorniato da cronisti e fotografi – ma la speranza c’è perché la storia non è statica”.

Mercoledì 5 settembre è la giornata di due maestri: fuori concorso c’è l’ultracentenario Manoel de Oliveira con “O gebo e a sombra”, tratto dall’opera “Il gobbo e la sua ombra” di Raul Brandao e con un cast che comprende anche Claudia Cardinale e Jeanne Moreau; in competizione invece arriva Marco Bellocchio con “Bella addormentata”, uno dei film più attesi di questa edizione. L’altro film in concorso è “Spring Breakers” di Harmony Korine, con le star dei teen agers Selena Gomez e Vanessa Hudgens in versione sexy, già pronte per il red carpet.

PIETA’
di Kim Ki-duk, Repubblica di Corea 2012 (Good Films)
con Cho Min-soo, Lee Jung-jin
.

Che i buoni sentimenti siano l’unica cosa che possa salvarci dal capitalismo malato e dalla furia distruttiva del denaro è una speranzosa possibilità che Kim Ki-duk ci racconta, a modo suo.

Kang-do è un uomo violento e solitario che lavora per gli usurai. Il suo compito è recuperare i crediti e non si ferma davanti a nulla per farlo, minaccia, picchia, storpia, stupra, senza uccidere però, ché altrimenti l’investimento è perduto. Non prova pietà e nessun altro sentimento davanti alle persone alle quali rovina la vita. Fino a quando si presenta alla sua porta Mi-sun, sostenendo di essere la madre che l’ha abbandonato 30 anni prima. Lui la respinge, le fa violenza, la odia, ma poco alla volta cede, si fida, cambia. Troppe persone però lo odiano e qualcuno ora potrebbe far del male alla madre per colpire lui. Quando Kang-do lo capisce è tutto già successo. Ma la verità a volte sarebbe meglio non scoprirla.

“E’ un film sulle conseguenze del capitalismo estremo e sugli effetti che producono sulle relazioni umane che vengono trasfigurate in senso negativo”, ha spiegato il regista autore di “Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera”, “La samaritana”, Orso d’argento a Berlino 2004, e “Ferro 3”, Leone d’argento a Venezia 2004. “I miei personaggi – dice – sono l’interpretazione del mondo che vedo in questo momento, si muovono senza radici né memoria, il solo interesse che hanno è per il denaro”. Il titolo, poi, dice di averlo scelto dopo essere stato folgorato dalla Pietà di Michelangelo: ”L’abbraccio della Vergine Maria al proprio figlio, che mi sono portato dentro per tanti anni, era l’abbraccio all’umanità nella sofferenza, nella condivisione del dolore”. Proprio quell’abbraccio che nel film, metaforicamente, potrebbe avere il potere di sciogliere la crudeltà e l’insensibilità. “Pietà” è un film duro, cupo, sporco, che parla di solitudine, sofferenza, vendetta, morte dove il regista è bravo a mantenere la tensione nonostante un racconto apparentemente semplice. Kim Ki-duk, che alla proiezione per la stampa ha ricevuto un lungo applauso e che potrebbe portare a casa un premio, è molto amato dai cinefili e dai festival: questo film è soprattutto per loro.

LINHAS DE WELLINGTON
di Valeria Sarmiento. Portogallo, Francia 2012 (Alfama Films France)
con Nuno Lopes, Soraia Chaves, John Malkovich, Marisa Paredes, Melvil Poupaud, Mathieu Amalric, Elsa Zylberstein
.

Un omaggio, un atto d’amore soprattutto per il marito scomparso nel 2011, quel Raoul Ruiz celebre regista cileno che non riuscì a portare a termine il suo progetto di un film epico sulle guerre napoleoniche. Valeria Sarmiento (“Notre mariage”) era probabilmente l’unica che poteva farlo, rispettando l’idea iniziale.

Nel 1810 Napoleone Bonaparte, dopo che erano falliti i tentativi di Junot e Soult, decise di inviare il maresciallo Massena alla testa di un poderoso esercito a invadere il Portogallo. I francesi riuscirono ad arrivare al centro del Paese senza praticamente incontrare resistenza e distruggendo tutto sul loro cammino. Quello che non sapevano e che non si aspettavano era che il generale Wellington, comandante delle truppe anglo-portoghesi in drammatica inferiorità numerica, stava preparando una linea di difesa insormontabile. E che un Paese intero aveva cominciato un esodo verso quell’ultima speranza.

“Le linee di Wellington” è un affresco intimo più che epico, dove la regista si trova più a suo agio con dialoghi e interni che con battaglie e combattimenti. La cinepresa segue con delicatezza questa infinita carovana composta da truppe portoghesi e inglesi, povera gente che ha perso tutto, nobili che cercano di mantenere un contegno, soldati improvvisati e drappelli di violenti disperati attraverso un Portogallo martoriato dalla guerra. La mano di Sarmiento si vede soprattutto nell’attenzione posta nel tratteggiare i personaggi femminili, quasi sempre misconosciuti ma spesso fondamentali. E immaginiamo che anche in omaggio alla memoria di Ruiz, una serie di grandi attori si sia prestata a piccoli cameo: oltre a Malkovich nei panni di Wellington, infatti, vediamo apparire anche Michel Piccoli, Isabelle Huppert, Catherine Deneuve, Mathieu Amalric, Melvil Poupaud e Marisa Paredes. La debolezza nel film, che dura due ore e mezza e per il quale è prevista una versione per la televisione in tre puntate, è appunto nell’impressione che lascia di assomigliare più a uno sceneggiato che a un film.