di Emanuela Gialli
(e.gialli@rai.it)
Da due giorni ci troviamo nel territorio minerario di Carbonia-Iglesiente, che, nella sua propaggine verso il mare, di fronte all’isola di San Pietro, dove ancora si parla lo spagnolo, e la Spagna appunto, assume una veste industriale con Portovesme, nel comune di Portoscuso.
Abbiamo parlato con i rappresentanti sindacali dell’americana Alcoa e con i minatori della Carbosulcis Spa di Nuraxi Figus. Ora cerchiamo di tirare le fila del discorso con il presidente della Regione Sadegna, Ugo Cappellacci.
Presidente, per la miniera di Nuraxi Figus la Regione sta lavorando a un nuovo progetto, che serva a scongiurare la chiusura dell’impianto. Si tratta di un progetto integrato, perché prevede anche la costruzione di una centrale elettrica.
Sì, esatto. Oltre a un terzo impianto, che è quello nodale, per la cattura della CO2. Il progetto iniziale comprendeva appunto la realizzazione di una centrale elettrica da 450 MW e l’impianto per lo stoccaggio dell’anidride carbonica per un equivalente di 250 MW. L’intesa raggiunta con il governo è quella di rivedere questo piano, riducendo la “taglia” di questa struttura, a 250MW per la centrale e a 150MW per la cattura della CO2, ma ancora è da verificare, per arrivare a un piano sostenibile, economicamente e dal punto di vista commerciale, che riduca gli oneri. Perché la legge n.99 del 2009, che ha stabilito questo percorso, ha anche previsto che il costo per l’investimento sia rinvenuto attraverso gli incentivi che presidiano il meccanismo delle energie rinnovabili, andando cioè a incidere sulle tasche degli italiani. Allora, per limitare al massimo questa incidenza, si è deciso di rivedere il progetto.
Ma questo comporterà anche un ridimensionamento dell’organico?
Bisogna distinguere l’organico del progetto rispetto a quello della miniera. Questo progetto non prevede incentivi sull’attività mineraria, anche perché questi sono vietati dalla normativa europea. I cosiddetti “aiuti di Stato”. Tra l’altro forse rischiamo l’apertura di una nuova procedura d’infrazione da parte dell’Ue. Il progetto si dovrà reggere dunque nella misura in cui sarà capace con le attuali condizioni di mercato di fornire alla centrale la quantità di carbone necessaria affinché questa possa funzionare. Di conseguenza non ci dovrebbe essere un riduzione del numero dei dipendenti, in relazione alla scala della miniera. Però c’è un altro aspetto da non sottovalutare. Noi faremo tutte le analisi perché il processo sia il più efficiente possibile. Quindi se ci sono da fare, non dico tagli, ma efficientamenti sull’intera macchina produttiva andranno fatti. Sul piano della forza lavoro comunque vi sono molti lavoratori che andranno in pensione. Bisognerà capire se quali e quanti saranno rimpiazzati.
Quanti sono?
Ho sentito parlare di alcune centinaia di lavoratori. Noi abbiamo già fatto un lavoro di questo tipo, di non reintegro dei pensionati: inizialmente i dipendenti erano più di mille.
E ora sono 472. Quattro settimane ancora per rivedere il progetto. Ma la data del 31 dicembre, indicata inizialmente per la temuta chiusura della miniera, come è venuta fuori?
La data era prevista originariamente in legge. Poi prorogata successivamente, da ultimo proprio da questo governo. E’ la data per lo svolgimento del bando di gara internazionalmente per l’affidamento proprio della concessione integrata, fissata al 31 dicembre. E ora l’esecutivo vuole prorogarla ulteriormente.
Ma quali sono le reali prospettive del settore minerario e metallurgico oggi in Sardegna?
Le riserve mondiali di carbone, che ancora sono numerose e che il pianeta ha tutto l’interesse a utilizzare, sono per il 50% di bassa qualità, come il nostro. Il tema è: il mondo, l’Europa, vogliono puntare sulle tecnologie che consentono di usare, in modo sostenibile per l’ambiente, questa straordinaria risorsa? Il progetto, dunque, va necessariamente oltre la miniera di Nuraxi Figus. E’ una scelta di politiche industriali del Paese e soprattutto dell’Europa.
E Alcoa? Ha incontrato ancora i vertici della Glencore?
Sì, con quelli locali.
E’ venuto fuori qualcosa?
Stiamo cercando di far capire che c’è un interesse delle istituzioni ad arrivare a una soluzione definitiva.
Presidente Cappellacci, in questi giorni abbiamo raccolto gli umori di qualche cittadino sardo sul futuro dei poli industriali in Sardegna. Per qualcuno questo futuro non c’è, altri sostengono che l’industria dell’isola sta morendo. Vale la pena, le chiede, impegnarsi per risolvere le questioni ora aperte?
La sfiducia nasce dal fatto che nel tempo si è puntato tutto su queste attività industriali e non si è sfidato il presente rispetto a un’ipotesi futura. Praticamente, non si è costruito il dopo. Questa è la fase che di fatto ci troviamo a gestire noi. Tant’è vero che nel Sulcis stiamo lavorando sull’esistente per conservarlo, Carbosulcis, Alcoa, Allumina, ma stiamo anche proponendo anche il piano di sviluppo per il Sulcis, almeno per i prossimi 20 anni, che immagina questo territorio con un diverso assetto: con il turismo, con l’agroalimentare, con la cantieristica nautica, con la green economy. In una parola, stiamo costruendo il futuro. Ma questo andava fatto 30 anni fa e non è stato fatto. E si andati avanti per decenni con la monocultura dell’attività metallurgica, mineraria e chimica. Questa oggi la stiamo trasformando in chimica verde, l’attività mineraria la stiamo trasferendo nel campo delle nuove tecniche avanzate. Per Euroallumina e Alcoa, che sono la filiera dell’alluminio in Italia, abbiamo chiesto al governo di dichiarare se quelle produzioni sono ancora strategiche per il Paese (l’alluminio è impiegato anche nell’industria militare, ndr) ed è stata fatta e noi insistiamo su questo e va conservato. Ma ripeto stiamo lavorando non solo per mantenere l’esistente, ma seguendo una logica più lungimirante.