Presidente è soddisfatto degli impegni che il ministro della Giustizia Paola Severino ha preso per una riforma del sistema giustizia?
Credo che si debba dare atto al ministro Severino di aver mantenuto una promessa che stava particolarmente a cuore a tutto il Consiglio e che anch’io avevo più volte sollecitato: l’assunzione dei 325 magistrati vincitori di concorso. Purtroppo i concorsi sono lunghi e se non riuscissimo a mettere questi giovani magistrati in servizio in tempi rapidi, perderemmo tempo prezioso. Per legge l’organico della magistratura ordinaria dovrebbe essere di 10.500 magistrati: attualmente in servizio ce ne sono poco più di 9000 mila, ciò significa circa 1400 vuoti di organico.
Durante il plenum del Csm il ministro Severino, al fine di razionalizzare le risorse ha promesso un intervento sule sedi giudiziarie. Cosa ne pensa?
Il ministro, in effetti ha preso un impegno formale davanti al Csm di fare presto e bene i decreti legislativi sulla riforma della geografia giudiziaria. Una riforma necessaria che ci consente di recuperare risorse, che attualmente sono limitate e mal distribuite sul territorio. C’è bisogno di concentrare e ridurre il numero degli uffici giudiziari sparpagliati sul territorio, far economia di scala e soprattutto avere magistrati altamente specializzati che possano dare una risposta di giustizia non solo più puntuale ma anche più tempestiva e più prevedibile. Requisiti fondamentali perché il sistema giudiziario sia considerato affidabile dai cittadini in generale e dagli imprenditori in particolare.
Parliamo dell’emergenza carceri: un’altra tragedia tutta italiana per la quale anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano è sceso in campo chiedendo alla politica e al Parlamento interventi urgenti.
Il ministro ha detto parole impegnative su un tema molto delicato e che sta a cuore particolarmente al presidente della Repubblica. Un problema che coinvolge il rispetto della dignità della persona, questioni umanitarie. Mi auguro che gli atti del governo facciano seguito agli impegni del ministro. Il ministro ha anche promesso di continuare in spirito di leale collaborazione con il Consiglio Superiore, che in questi mesi si è sperimentato su temi come la Scuola della magistratura o il Tribunale delle imprese. Il Csm ha espresso i suoi pareri, abbiamo creato tavoli paritetici tra Consiglio e ministero che ci aiutano a risolvere molti problemi organizzativi. La collaborazione sta dando i suoi frutti, credo che dobbiamo proseguire su questa strada.
Parliamo dei costi della Giustizia: lo scorso anno il contributo unificato è aumentato due volte, a luglio con il governo Berlusconi e a dicembre di nuovo con il governo Monti. Non crede che per i cittadino siano costi eccessivi e si rischia di avere una giustizia per censo, cioè riservata ai più abbienti?
Noi veniamo da lunghe stagioni durante le quali la giustizia non costava nulla e come sempre ci siamo abituati male. In effetti era la meno cara d’Europa, ora però abbiamo recuperato allineandoci ai paesi europei. La Giustizia è un servizio che costa allo Stato e in parte a questo costo devono contribuire anche i cittadini. Ciò serve anche a scoraggiare i ricorsi temerari alla giustizia. Certo è necessario trovare un giusto equilibrio tra il costo e l’efficienza del servizio. L’Italia si è incamminata su questa strada ma, purtroppo non siamo vicini al risultato.
Cosa ne pensa della separazione delle carriere.
Non sono un fautore della separazione perché anzitutto di fatto, dopo le riforme ordinamentali del 2006 del 2007, la percentuale di chi passa dalla funzione di pubblico ministero a quella di giudice e viceversa è bassissima nell’ordine del 3/5%. Con la vigente riforma cambiare funzione significa cambiare regione e questo rappresenta difficoltà logistiche non indifferenti e disincentivanti. Inoltre, creare un corpo di pubblici ministeri a vita che non dipenderebbero più da questo Consiglio superiore della magistratura, porterebbe a far dipendere da chi la funzione inquirente? Dal potere esecutivo?
Però in Francia il pubblico ministero è gerarchicamente subordinato all’esecutivo e la giustizia sembra funzionare bene…
E’ vero ma credo che nel nostro Paese non sarebbe una soluzione praticabile perché rischierebbe di creare una condizione di eccessiva autoreferenzialità che alla fine creerebbe una magistratura separata, parallela. Penso che con tutti i nostri difetti il sistema attuale, magari irrigidendo ancora di più le incompatibilità tra le due funzioni, possa continuare a funzionare.
L’Europa, in particolare la Corte europea dei diritti dell’Uomo, che ha condannato recentemente l’Italia per numerose violazioni, ci chiede una urgente modifica della legge Vassalli la n.117 del 1988 che disciplina la responsabilità civile dei magistrati. Tra l’altro l’emendamento del deputato della Lega Nord, Pini, approvato dalla Camera a febbraio introduce due modifiche sostanziali: la prima è che il magistrato oltre alla colpa grave e al dolo risponda anche per manifesta violazione del diritto. L’altra riguarda la possibilità per il cittadino di citare in giudizio direttamente il magistrato anziché lo Stato. Cosa ne pensa?
Guardi, recentemente ho ricevuto il presidente della Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, Nicolas Bratza, il quale mi ha richiamato a questa dura realtà, visto che l’Italia è il paese più sanzionato d’Europa dalla sua istituzione e anche il maggior contribuente viste le multe che paghiamo ogni anno per le inadempienze e le violazioni in materia di giustizia. Mi ha pregato di impegnarmi per invertire questa tendenza. Noi dobbiamo mettere al primo posto delle nostre priorità in materia di giustizia l’accelerazione dei processi, la loro ragionevole durata: non lo chiede solo l’Europa ma anche i cittadini.
Ma la responsabilità delle inefficienze della giustizia, civile e penale, di chi è? Del sistema ormai al collasso? Degli avvocati che impugnano troppo o esercitano tecniche dilatorie? Dei magistrati che non rispettano i tempi e rinviano le udienze, emettendo sentenze con eccessiva lentezza?
Le responsabilità sono molteplici, diffuse, stratificate nel corso degli anni. C’è un dato dal quale partire per una riflessione: noi abbiamo un numero di magistrati e di risorse impegnate che è nella media europea e la produttività dei magistrati italiani è ai primi posti in Europa.
Ma allora com’è possibile avere un arretrato di oltre 10 milioni di processi civili e penali e una durata dei processi così lunga da essere sanzionati ogni anno da Strasburgo?
In realtà l’Italia è il paese con la più alta litigiosità d’Europa. Esclusa la Russia, noi siamo il paese che ha il numero maggiore di contenzioso civile e un numero di fattispecie penali sterminata. Da noi si litiga molto e dove non c’è contenzioso tra privati ci pensa lo stato a prevedere sempre più numerose fattispecie di reato. Questo determina un intasamento del nostro sistema processuale sia civile, sia penale. Pretendere di far entrare nel processo, che per sua natura è uno strumento a portata limitata, una quantità abnorme di contenzioso, civile e penale, produce inevitabilmente un intasamento del sistema.
Qual è allora la via d’uscita?
Ridurre a monte la quantità di contenzioso nell’intero sistema. Nel civile per esempio per alleggerire sia l’arretrato sia il carico di lavoro, per dirimere le controversie bisognerebbe trovare soluzioni alternative a quella giudiziaria, attraverso le forme di mediazione, obbligatoria o facoltativa, o con il ricorso agli arbitrati, o con una rivisitazione della figura del giudice di pace in versione conciliatoria. Bisogna cercare di evitare di caricare il sistema processuale di un contenzioso che non riesce a sopportare e perciò trovare binari alternativi a quello del processo.
Un provvedimento del precedente governo Berlusconi introdusse un tentativo obbligatorio di mediazione per alcune materie civili che sembra proprio rispondere a questa esigenza. Tuttavia gli ordini forensi l’hanno bocciata e la ritengono un inutile tentativo oneroso per il cittadino che poi, una volta fallita la mediazione, si deve rivolgere sempre al giudice con notevole aggravio di spese e di tempi. Cosa ne pensa?
Sarei cauto a dire che non ha funzionato. Io credo che anziché contrastarla pregiudizialmente, gli avvocati dovrebbero cercare di gestirla, perché sono sicuro che una mediazione ben gestita dall’Avvocatura, che può svolgervi un ruolo determinante, gioverebbe all’intero ordine forense italiano.
Sul fronte penale?
Dobbiamo disboscare coraggiosamente questa selva di reati. Il legislatore pensa di risolvere tutti i problemi attraverso le norme incriminatorie. Noi non possiamo scaricare sul giudice tutte le criticità socio-economiche di questo paese. Quando c’è un problema si introduce un nuovo reato e si incarica il giudice di risolverlo. Il giudice è una risorsa limitata, che sta dentro un sistema a portata limitata e pretendere di risolvere tutto all’interno di un processo (che per di più dal 1989 è un processo accusatorio, cioè rigido, farraginoso), fa sì che alla fine l’unico risultato che produciamo è la prescrizione.
Altra anomalia tutta italiana: oltre 170mila processi l’anno si prescrivono.
Certo, questo perché nei paesi dove c’è il processo accusatorio, al dibattimento arrivano il 5/10% dei reati, come in America. Da noi è il contrario: va a processo il 90% dei reati il che vuol dire che intasiamo il processo e alla fine lo facciamo estinguere per intervenuta prescrizione!
Quindi è favorevole alla depenalizzazione?
Certo, sarebbe auspicabile una drastica depenalizzazione, con la modifica del sistema della prescrizione sul modello europeo, che prevede che la prescrizione si sospenda nel momento in cui inizia il processo. Questo indurrebbe le parti a non giocare con tecniche dilatorie per arrivare alla prescrizione ma a confrontarsi nel processo per giungere ad una sentenza di merito più rapidamente possibile.
E’ favorevole all’amnistia che il presidente Napolitano ha definito “una prepotente urgenza”?
E’ un tema che attiene alla responsabilità della politica e quindi nel mio ruolo non mi sento di prendere posizione. Certamente l’ultimo indulto promulgato senza l’amnistia è servito a poco. Non saprei dire se le attuali condizioni parlamentari rendano praticabile un provvedimento di amnistia che esige una maggioranza qualificata. Certamente oltre alla depenalizzazione dobbiamo pensare ad una seria opera di de-carcerizzazione. Perché non tutto può essere reato altrimenti nulla è reato e non è possibile che ogni reato venga sanzionato con il carcere. Ci deve essere una graduazione delle pene. Fatti che non destano allarme sociale possono essere puniti con sanzione amministrativa, altri con arresti domiciliari o con lavori socialmente utili. Anche il braccialetto elettronico, posto che si riesca a farlo funzionare con una certa efficienza, potrebbe essere usato per il controllo delle misure alterative al carcere, come ha anche auspicato il ministro Severino.
Meno fattispecie di reati, più sanzioni pecuniarie?
Si, se noi riuscissimo ad introdurre questa graduazione nelle pene in parte spostandole dal penale al civile, pecuniario e amministrativo, in parte sanzionandole con forme di misure di sicurezza alternative al carcere, con lavori socialmente utili, o di affidamenti ai servizi sociali, ecco che allora il carcere potrebbe rimanere come misura residuale, ovviamente indispensabile ma in condizioni tali da poter garantire l’aspetto rieducativo della pena, previsto dalla Costituzione.
Presidente, ma allora il magistrato lo assolviamo, anche quando, senza giustificazioni, deposita con notevole ritardo le sentenze?
No, non lo assolviamo sempre nel senso che la Sezione Disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha un numero assai consistente di condanne di magistrati per ritardi nel deposito di provvedimenti. Questo deve essere un monito per tutti i magistrati: fare il proprio dovere e farlo celermente e puntualmente è molto importante per chi svolge una funzione così delicata. (FdJ)