di Laura Mandolesi Ferrini
In questi giorni professionisti di numerose discipline si sono incontrati a livello nazionale per un'operazione di ampio respiro: definire i raggruppamenti disciplinari per creare un corso di formazione che ormai manca solo in Italia: quello di paesaggismo. La messa a punto del piano richiederà tempi più lunghi del previsto ma il fermento intorno al tema non interessa soltanto gli addetti ai lavori. Fra questi ultimi, Franco Zagari, figura di spicco nella progettazione del paesaggio, ha partecipato a questo tavolo. Vediamo cosa ci racconta.
Come Lei ricorda in un suo libro, "il generale De Gaulle, visitando le macerie della città di Brest nel 1945, decise di istituire una scuola superiore di paesaggio, che fu poi quella di Versailles. " (…) Una via che seguirono molti altri Paesi". Una via che l'Italia sembra non aver mai preso, considerando la carenza di vere e proprie scuole di paesaggismo nel nostro Paese. Ma in questi giorni Lei esce da una serie di giornate di lavoro, un "tavolo tecnico" , con quattro ministeri coinvolti, in cui sono state definite una serie di azioni importanti. Di cosa si tratta?
"No, in questi giorni abbiamo rallentato, in ragione della crisi politica e finanziaria, ma entro l'estate confido che concluderemo con soddisfazione il nostro lavoro. Si tratta della commissione voluta e diretta da Enzo Siviero, vicepresidente del Consiglio Universitario Nazionale, per istituire anche in Italia una classe di studio universitario dedicato al paesaggio. Con la recente riforma infatti il paesaggio era sparito dal nostro ordinamento. Ecco dunque un tavolo paritetico dove si sono misurati architetti, urbanisti, ingegneri, agronomi, geografi, ecologi, geologi, filosofi, semiotici e, non ultimi i paesaggisti, naturalmente. E' difficile per il momento fondare un vero e proprio settore scientifico disciplinare autonomo mentre direi che siamo vicini alla istituzione di una classe quinquennale che formerà un paesaggista puro, così come stabilito dalle associazioni europee specifiche. La figura professionale dell'architetto è nata dopo la prima guerra mondiale, quella del paesaggista dopo la seconda. Sono nuove competenze che sono sentite dopo grandi traumi, nuove figure intellettuali che fatalmente da saperi generalisti si devono specializzare per rispondere a esigenze sempre più complesse. Non dimentichiamo che grandi paesaggisti e artisti hanno dato contributi fondamentali all'evoluzione del pensiero contemporaneo: Burle Marx, Barragàn, Shigemori, Sørensen, Noguchi..."
Lei ha lavorato in Francia, dove ha firmato diverse opere importanti. La Francia è un Paese dove gli incarichi pubblici sono affidati a vere e proprie equipe interdisciplinari. L'Italia ancora fatica a stabilire una modalità di approccio progettuale, soprattutto per le opere pubbliche. Una lacuna che ci tiene ancora lontani dal resto dell'Europa. Ci sarà mai un modo di colmarla? "E' vero che ho imparato molto dalla Francia, paese al quale sono legato da una profonda gratitudine, devo dire che anche da loro la leggendaria burocrazia si è moltiplicata all'infinito, chiedendo prestazioni sempre più onerose, le norme più astratte stanno prendendo piede ... Però sono ancora possibili imprese fantastiche. Le piazze centrali di Saint-Denis che ho progettato con Jean-Louis Fulcrand sono state una meravigliosa avventura, in particolare - a parte che per la rilevanza del tema del tutto eccezionale - la Basilica è uno dei monumenti più importanti in Francia, sono rimasto colpito dall'ampiezza della concertazione con mille interlocutori, un processo di confronto con diversi saperi, segnatamente soprintendenti e archeologi molto preparati, e con molti cittadini che hanno dato contributi importanti, un vero e proprio processo partecipativo. Riguardo a noi abbiamo molto migliorato la legislazione urbanistica, ma la prassi amministrativa e professionale sembra rimasta immobile, le procedure di analisi precedono quelle di piano, non sapendo mai bene cosa cercare, i piani hanno metabolismi di formazione troppo lenti, fra pianificazione , programmazione e sperimentazione progettuale non c'è continuità. il vecchio sistema di procedere da piani generali a piani particolareggiati a progetti attuativi non ha riscontro con tempi e modi in cui la domanda si manifesta e se non soddisfatta deflagra in atti illegali".
Oggi l'opinione pubblica dimostra sempre più interesse nei confronti di temi come il paesaggio, il territorio, l'ambiente. Non è un caso che il presidente Napolitano, nel suo discorso di investitura ha parlato del paesaggio come di una "questione di assoluta emergenza", dimostrandosi in sintonia con le aspettative dei cittadini. Eppure i protocolli legislativi non sono ancora in grado di sanare una situazione delicatissima. Gran parte dell'edilizia italiana sorge infatti su aree ad ad alto rischio. Come la crescente consapevolezza dei cittadini può essere incisiva nelle scelte sul territorio?
"Ho lungamente trattato questi argomenti in due volumi entrambi per la casa editrice Librìa, Paesaggi di città non città. Franco Zagari. Quattro progetti di ricerca, a cura di Giovanni Laganà, appena uscito, e Paesaggio anno zero, che uscirà nel mese di maggio. ANNO ZERO propone un reset, smontare e rimontare gli argomenti che ruotano attorno a diverse cause della condizione deteriore del nostro paesaggio, ripartendo da una ricerca faticosa e paziente. Nel paesaggio, anche in quello brutto, sporco e cattivo, vivono migliaia di persone e per quanto la televisione abbia potuto corrompere il senso comune della morale di un intero paese, la gente ha sempre risorse imprevedibili spesso piene di sorprese. E' il momento che noi si impari a trattare con cura il nostro paesaggio malato. Chi veramente vuole "che le cose cambino" con una evoluzione positiva sa che ci vuole lavoro, lavoro di tutti, con dedizione e pazienza, sa che questo è possibile solo attraverso un coinvolgimento di chiunque da vicino o da lontano senta a giusto titolo un vincolo significativo di appartenenza. Il che pone l'individuo come la comunità in una condizione potenzialmente più capace di rinnovare il senso di un patto di civitas, cioè una delle molecole fondamentali dell'esercizio di diritti e doveri in un consesso democratico. La questione è quindi non solo molto rilevante da un punto di vista economico e sociale, lo è da un punto di vista politico, e con una assoluta priorità. Noi tutti vorremmo un paesaggio integro, pulito, bello, giusto, un posto dove ci piacerebbe vivere, ma la nostra rappresentazione è del tutto soggettiva e dipende dalla nostra sensibilità, dalla nostra cultura, dal nostro gusto, può accadere anche a voi come è successo a me un giorno che mi trovavo in compagnia di un naturalista, di affacciarvi da una balconata sulla val d'Orcia e ammirare il paesaggio e manifestare un momento di commozione per la sua bellezza, una campagna sapientemente lavorata, un gioco di colline in perfetto equilibrio di forme e di colori, la terra dissodata con sfumature in chiaro scuro fra il grigio e il tortora e sentirvi improvvisamente dire: " ... Ma sei pazzo, non vedi che orrore"? questa terra è oggi solo uno spettro, un latifondo impoverito, non vi è più alcuna biodiversità, solo cinquanta anni fa questo luogo era tutto diverso, con campi molto più piccoli, scanditi da siepi, differenziati da mille coltivazioni, e in perenne rotazione, vi erano alberi con varie funzioni...". Io vedevo una scultura come se fosse una natura morta tutta in funzione estetica, lui vedeva un documento di cultura materiale tutto in funzione biotica. Da quel giorno tenni a mente che su quel paesaggio si affacciavano gli occhi di mille visitatori e che mille abitanti davano luogo a quella scena, sempre diversa giorno per giorno.
Due parole hanno un peso dirimente nel paesaggio, concertazione e responsabilità. Sono i due catodi di ogni ragionamento avanzato in un progetto di paesaggio nell'esercizio di un processo di concertazione che sia molto partecipato e allo steso tempo abbia la passione, l'intelligenza, il coraggio, di sapere concepire un disegno di libero arbitrio perché si aprano strade di nuova scoperta, perché una società ha infatti bisogno sia di Pericle che di Ulisse. Il tema è scabroso, ma non ci potrebbe essere errore più grave che eluderlo. Più che fare o non fare il nostro problema è fare bene, ristabilire la via perché una comunità sia partecipe e responsabile. Che sarebbe oggi della Baia di Sistiana, se fosse stata trasformata da Renzo Piano da cava dismessa in un complesso costruito senza soluzione di continuità fra roccia e logge con lo splendido labirinto delle maree di Michel Desvigne? Certamente sarebbe più interessante e più bella dello stato attuale, ma non è bastata la garanzia di un autore fuori del comune, la sua assunzione di responsabilità, si è preferito archiviarla come un qualsiasi attentato al paesaggio". Franco Zagari, professore ordinario di Architettura del paesaggio (Roma e Reggio Calabria), ha realizato molte opere in Italia e all'estero. Fra queste, Piazza Montecitorio a Roma (1988), il Giardino Z5 a Roma (2010). In Giappone, un Giardino a Osaka (1990), e a Parigi, tre Piazze a Saint-Denis (2005-2007). Il ministero della Cultura francese gli ha riconosciuto il titolo di Chévalier des arts et lettres. Premio europeo Gubbio, 2009. Membro dell'esecutive Board di Uniscape dal 2008. E' autore di numerosi saggi, fra cui: "Questo è paesaggio: 48 definizioni", Roma, 2006, "L'Architettura del Giardino contemporaneo" (un libro, una mostra, sei film Rai).